«Sulla strage di via d’Amelio siamo a un passo dalla verità. Mai come ora siamo vicini alla verità. E questo grazie a me e ad altri magistrati». Davanti alla Prima Commissione del Csm, il pm Nino Di Matteo rivendica con orgoglio il lavoro svolto in questi anni per l’accertamento delle responsabilità di quella strage in cui persero la vita Paolo Borsellino e la sua scorta. Parla dei «prezzi altissimi» pagati da lui e dai suoi stessi familiari per il suo impegno e spiega che le «falsità e nefandezze» di cui è stato oggetto e cioè l'essere essere stato tirato in ballo per depistaggio del falso pentito Vincenzo Scarantino, ha una ragione ben precisa: concentrare tutto sulla vicenda Scarantino per «distogliere la ricerca della verità», più a portata di mano dopo la sentenza sulla Trattativa Stato-mafia. Mentre soprattutto bisognerebbe far luce sulla «prima azione di depistaggio» di quelle indagini, "il furto dell’agenda rossa» di Paolo Borsellino, che «non può essere stato fatto» dai mafiosi, da chi ha azionato il telecomando. Di Matteo è stato convocato nell’ambito della preistruttoria che è stata avviata dal Csm su sollecitazione della figlia del magistrato ucciso, Fiammetta, che ha chiesto di accertare i responsabili anche nella magistratura delle «anomalie» che avrebbero segnato le indagini, a cominciare dalla gestione di Scarantino. E non nasconde la sua amarezza. «Non è giusto che questi magistrati - dice parlando di se stesso e dei colleghi che hanno lavorato con lui - siano oggi accostati a depistaggi». E spiega che «chi soffia sul fuoco e strumentalizza» la "sacrosanta» sete di giustizia della famiglia Borsellino, «vuole che non si vada avanti» nella ricerca della verità. Ha scelto di essere sentito in seduta pubblica (è la prima volta nella storia del Csm). E per prima cosa chiarisce: «non è vero» che nei 25 anni trascorsi dalla strage «non si è fatto niente: ci sono state 26 condanne definitive mai messe in discussione. E non c'è strage in Italia che abbia un così alto numero di condannati». E poi evidenzia che lui con il depistaggio di Scarantino non ha niente a che vedere: mai saputo dei colloqui investigativi nel carcere di Pianosa; mai partecipato alle riunioni con i magistrati che hanno fatto le indagini che portarono all’arresto di Scarantino cioè Ilda Boccassini, Fausto Cardella e Francesco Paolo Giordano, chiedendo polemicamente al Csm perchè non abbia convocato loro. Mai parlato con La Barbera, allora a capo del pool investigativo. Lui si è occupato del Borsellino bis, che «non é basato solo sulle dichiarazioni di Scarantino», e del Borsellino ter, dove il falso pentito non è stato citato nemmeno come testimone e sono venuti fuori «temi importanti per arrivare ai mandanti esterni, il tema dei contatti che Riina diceva di avere con alcuni esponenti politici, Berlusconi e Dell’Utri». Quanto all’agenda di Borsellino, «non c'è alcun dubbio che quel giorno l’avesse con sé e che avesse annotato con particolare ansia circostanze che aveva scoperto», «cose molto gravi». Così come «non c'è alcun dubbio che in quel momento c'era una trattativa tra il Ros e Riina con l’intermediazione di Ciancimino...».