Genova saluta le sue vittime che in realtà sono i morti di tutti, perché i ponti nascono per unire e un ponte che crolla, che divide, è un nonsenso, un qualcosa che non può accadere e che colpisce il lato più profondo dell’animo di ciascuno di noi. E’ un funerale pieno di simboli quello che Genova riserva a 19 delle 43 vittime del Ponte Morandi, l'ennesima cerimonia solenne davanti una distesa di bare in un’Italia che anziché una Repubblica fondata sul lavoro sembra esser tenuta insieme dalle tragedie.
Lo sa prima di tutti il capo dello Stato Sergio Mattarella che infatti parla di «tragedia inaccettabile» e chiede da un lato il «rigoroso accertamento delle responsabilità», e dall’altro che lo Stato «garantisca sicurezza» ai suoi cittadini. Perché giustizia e sicurezza sono il collante senza il quale un paese perde il senso stesso di comunità. Il presidente della Camera Roberto Fico, dopo aver abbassato la testa davanti ai familiari delle vittime, va dritto al punto. "Chiedo scusa a nome dello Stato, anche se non è mia oggi la colpa, per quello che può non aver fatto negli ultimi anni».
Simboli, dunque. C'è il crescendo di applausi della gente ai vigili del fuoco, che ormai l’Italia funestata dai disastri ha eletto ad eroi imperituri: quando entrano nell’hangar dove in tempi di pace si tiene il salone nautico, i cittadini iniziano a battere le mani e smettono un minuto e mezzo dopo. Un saluto spontaneo, caldo e vero che imbarazza questi uomini abituati a vedere cose che nessuno mai dovrebbe. E ci sono i giocatori di Genoa e Sampdoria che arrivano insieme e si siedono l’uno accanto all’altro, facendo saltare il cerimoniale che li aveva separati.
Ancora: c'è la rappresentazione plastica del potere che cambia. La sinistra che ha governato Genova per cinquant'anni non ha un posto a sedere non solo tra le autorità ma neanche tra la folla: il segretario Maurizio Martina e l’ex ministro della Difesa Roberta Pinotti almeno ci mettono la faccia e si prendono una selva di fischi. Al 'cinesè Sergio Cofferati, neanche quelli; l’ex leader della Cgil che qui ha fatto le primarie del Pd manco se lo ricordano. Per Salvini e Di Maio, ma anche per il premier Giuseppe Conte e il resto del governo, è invece un’ovazione. Un riconoscimento tutto sulla fiducia che l’esecutivo gialloverde deve ora ripagare. E non sarà facile viste le aspettative. «Fagli il c...» a quelli di Autostrade dice al leader cinquestelle uno dei parenti delle vittime, a fine cerimonia. E lui: «tranquillo, questi i nostri ponti e le nostre strade non le gestiranno mai più».
Ma simbolo è anche Genova che non crolla sotto il suo ponte. Il viadotto che viene giù «ha provocato uno squarcio nel cuore di Genova, una ferita profonda che nessuna doverosa giustizia può cancellare», dice nell’omelia il vescovo Angelo Bagnasco che poi dà voce al sentimento del popolo, dai camalli del porto che si stringono attorno alla bara di uno di loro, Andrea Cerulli, agli albanesi che insieme agli italiani piangono Marius e Admir, o Leyla Nora e Juan Carlos, arrivati dal Cile e accolti nei carrugi. «Genova - scandisce l’arcivescovo - non si arrende: l'anima del suo popolo continuerà a lottare. Come altre volte, sapremo trarre dal nostro cuore il meglio, sapremo spremere quanto di buono e generoso vive in noi».
Le 19 bare, ognuna con sopra un mazzo di rose bianche, sono sistemate davanti all’altare in modo da formare un lieve semicerchio con al centro un feretro bianco, quello di Samuele, 8 anni, che con il papà Roberto e la mamma Ersilia, stava andando in vacanza. Ci hanno messo sopra un cagnolino e un’ape di pelouche, accanto ad un rosario. Due bare dopo la moglie di Luigi Altadonna continua ad accarezzare la foto del padre dei suoi quattro figli: poco prima che il ponte venisse giù aveva cambiato posto in auto con Gianluca, che ora è in ospedale. Il destino non si sceglie. La mamma di Bruno Casagrande, invece, continua a toccare la maglietta dell’Amiu, l’azienda ambientale genovese dove il figlio finalmente aveva trovato un lavoro. Stagionale e precario ma pur sempre un lavoro.
La lettura dei nomi delle vittime dura un minuto e precede un altro simbolo di questa giornata che nessuno avrebbe voluto vivere. L’'Allah Akbar' scandito cinque volte dall’imam di Genova per salutare i fedeli musulmani morti su quel ponte e accolto dall’applauso convinto della gente che vuole sentirsi unita. «Nel nome del Dio unico, un ponte che crolla è qualcosa che non può esistere. Genova, che in arabo significa 'la bellà, saprà rialzarsi. Le comunità islamiche pregano perché la pace sia con tutti voi. Che il Signore protegga l’Italia e gli italiani».
Finisce la cerimonia, la politica lascia l’hangar con le promesse da mantenere e la gente con il dolore nel cuore e la paura di dover vivere altri momenti come questo. Ma prima che tutto si concluda dal porto si alza la voce delle sirene. Un suono sordo e prolungato, l’ennesimo simbolo, che questa città conosce bene e che si usa per dire addio ma anche benvenuto.
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