Il suo ultimo sogno era quello di riportare il Mondiale a Maranello dopo 11 anni. E probabilmente è questo l’ultimo obiettivo che Sergio Marchionne potrebbe raggiungere. Troppo difficile immaginare oggi se Vettel a fine novembre alzerà la coppa. Ma se lo farà, questa sarà indiscutibilmente la prima vittoria del nuovo corso, quello targato Marchionne. E’ proprio sul marchio Ferrari che il manager figlio di un maresciallo dei carabinieri si è giocato molto in termini di credibilità. Perché un conto è risanare la Fiat (giù il cappello, però) puntando su grafici, report finanziari e la nuova 500, altro conto è avere a che fare con la nazionale dei motori. Lì, a Maranello e nella galassia che la circonda, la passione non guarda ai numeri a meno che non siano quelli dell’albo d’oro. E l’ingresso di Marchionne nel mondo Ferrari è stato traumatico, come nel suo stile. Nel corso del Gran Premio di Monza del 2014 il manager Fiat, ospite ai box, licenziò in mondo visione Luca Cordero di Montezemolo. Era stato, quello, l’anno più brutto della Ferrari: neanche una vittoria, tanti ritiri, troppe umiliazioni da parte della Mercedes che aveva azzeccato un motore turbo-ibrido di cui evidentemente a Maranello avevano sottovalutato la complessità in fase di realizzazione. E così, mentre Alonso si ritirava proprio per la rottura del motore, Marchionne lasciava la pista e cominciava a cucirsi addosso i galloni di leader. Via Montezemolo, con tanto di buonuscita, Marchionne costruì una squadra che puntava sugli italiani. Alla plancia di comando della mitica Gestione sportiva mise Maurizio Arrivabene. Scelta vincente anche sul piano dell’appeal visto che il manager ex Philip Morris è diventato subito amatissimo dai tifosi. Il primo anno di Marchionne al timone della Ferrari, il 2015, fu un successo. Arrivò anche Vettel e fu vittoria alla seconda corsa. Di vittorie alla fine ne arrivarono tre: il Cavallino si era rialzato. Ma la diffidenza del mondo Ferrari verso il nuovo leader non era venuta meno. Non a caso ripeteva quella che è oggi una delle sue frasi celebri: “Chi comanda è sempre solo”. E la solitudine si acuì nel 2016: alla vigilia della stagione Marchionne alzò la tensione chiedendo di vincere subito alla prima gara e di portare a casa il Mondiale a fine anno. Finì in catastrofe: zero vittorie, squadra a pezzi, dilaniata dal rimpallo di responsabilità. E qui però Marchionne azzeccò le mosse giuste. Probabilmente è anche in questo che si vede un grande timoniere, quando capisce che bisogna invertire la rotta e prendere decisioni coraggiose dove il rischio è altissimo. Fece capire che i suoi proclami arrivavano da informazioni sbagliate che gli avevano fornito i big del Reparto Corse di cui si fidava. E allora vengono fatti fuori i tecnici che avevano fallito (James Allison, in primis) e le responsabilità passano a giovani ingegneri italiani: Mattia Binotto, Simone Resta, Enrico Cardile ridisegnano l’aerodinamica e il motore. E si inizia a vincere. Tuttavia anche in questa circostanza Marchionne ha ceduto alla tentazione tutta italiana di perdere la pazienza. Nel pieno di un Mondiale apertissimo la Ferrari va Ko a Monza, in casa, dove Vettel non va oltre il terzo posto staccatissimo dalle Mercedes. Ai box c’è il gotha della Fiat e Marchionne non regge: “Mi stanno girando le balle”. Marchionne scuote l’ambiente: “Dobbiamo migliorare. Qualcosa ancora non funziona. Dobbiamo togliere il sorriso dalla faccia di questi tedeschi”. Parole che – secondo molti – fecero alzare troppo la tensione portando a scelte tecniche sbagliate che compromisero la rincorsa al Titolo. Era il 3 settembre del 2017. Non ci sarà un altro Gran Premio di Monza, Marchionne non avrà la rivincita. Ma nel frattempo tanto è successo. Il presidente è sempre più “ferrarista”. Vive quotidianamente il lavoro a Maranello. Continua ad azzeccare le scelte manageriali. La macchina del 2018 è la migliore del Circus. Il countdown per lui è già agli sgoccioli. Ripete sempre più spesso di sentirsi stanco ma non smette di sognare. Nell’inverno 2017 pianifica il ritorno dell’Alfa in F1 praticamente incorporando la Sauber: la primavera 2018 dirà che è già un’altra battaglia vinta. Il marchio del biscione – col super motore Ferrari a bordo e molti tecnici, pilota compreso, trapiantati dalla Ferrari – è regolarmente davanti alla McLaren… Nel frattempo diminuiscono gli impegni (almeno quelli pubblici) con la Fiat ma non quelli della Ferrari. Nell’ambiente comincia a essere apprezzata un’immagine meno rigida di Marchionne. Si sa già che nella primavera del 2019 lascerà la Fiat ma non la Ferrari. Nel frattempo batte i pugni in Federazione per le regole dei prossimi campionati mostrando che la Ferrari è ancora la Ferrari anche al tavolo politico. Chi lo conosceva bene raccontava anche di un ultimo, utimissimo, sogno abbozzato quando ormai il countdown era davvero quasi finito: riportare anche la Maserati in F1, questa volta trasformando il team Haas. Davvero non ha avuto tempo per questo. Ma resta l’immagine di un manager che all’apice della carriera – nel 2014 – ha deciso di fare proprio il sogno di milioni di italiani. Nell’ambiente resterà sempre il dubbio se quell’idea di riportare il Mondiale a Maranello sia figlia della voglia di essere sempre l’uomo del destino (come per Fiat) o se sia frutto di quella passione che è della gente vestita di rosso e che arriva, tramandata da padre in figlio, proprio dall’idea di un altro grande visionario italiano, Enzo Ferrari. Il Drake, all’indomani della seconda guerra mondiale fra le macerie di ciò che restava dell’Italia, sognava di creare qualcosa di vincente perché sentiva di esserne in grado e perché voleva vincere dimostrando di essere il migliore. Migliore anche di colossi dell’epoca come Mercedes e Alfa. Marchionne si è mosso fra le macerie della Ferrari del 2014 ripetendo che “il successo non è mai permanente e deve essere guadagnato giorno per giorno”: voleva che il Cavallino con i colori italiani bene in vista si rialzasse con la sua spinta. Era, è ancora, il sogno di tutti quelli che orbitano intorno al mondo Ferrari. Il countdown del manager più discusso è finito. Ma quest’ultima sfida è ancora in corso, c’è tempo fino al 25 novembre. Fino ad Abu Dhabi sarà ancora la Ferrari di Marchionne.