Venerdì 22 Novembre 2024

Trattativa Stato-mafia, Di Matteo: "Sentenza punto di partenza per nuove indagini"

Nino Di Matteo

PALERMO. Parla di «silenzio assordante», di chi avrebbe dovuto difendere il pool e non l’ha fatto. E non fa sconti ai colleghi: Associazione Nazionale Magistrati e Consiglio Superiore della Magistratura, rimasti inermi mentre lui e i suoi venivano attaccati. Non rinuncia alla polemica Nino Di Matteo, pm ora alla Direzione nazionale Antimafia, memoria storica del pool che ha istruito il processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. Dopo la sentenza che ha confermato l’impianto accusatorio infliggendo pene pesantissime a ex vertici del Ros come Mario Mori e all’ex senatore Marcello Dell’Utri, condannati a 12 anni e accusati di aver rafforzato Cosa nostra scegliendo la via del dialogo coi clan durante le stragi del '92 e del '93, Nino Di Matteo si toglie qualche sassolino dalla scarpa. E sceglie la trasmissione «1/2ora in più» di Lucia Annunziata per ricordare chi, a suo dire, negli anni delle polemiche sull'indagine non difese la Procura. «Quello che mi ha fatto più male è che rispetto alle accuse di usare strumentalmente il lavoro abbiamo avvertito un silenzio assordante e chi speravamo ci dovesse difendere è stato zitto. A partire dall’Anm e il Csm», dice. In una lunga intervista alla giornalista, poi, Di Matteo rilancia l’importanza del verdetto che conferma in pieno la tesi dell’accusa: mentre esplodevano le bombe mafiose pezzi delle istituzioni scendevano a patti con i clan. "Gli ufficiali dei carabinieri sono stati condannati per avere svolto un ruolo di mediazione delle richieste della mafia nel '92 quindi rispetto ai governi della Repubblica presieduti da Amato e Ciampi, mentre Dell’Utri è stato condannato per avere svolto il medesimo ruolo nel periodo successivo a quando Berlusconi è diventato premier. È un fatto oggettivo», spiega. "È ovvio che noi abbiamo agito verso soggetti che ritenevamo coinvolti sulla base di un quadro probatorio solido, ma non pensiamo che i carabinieri abbiano agito da soli. Non abbiamo avuto prove concrete per agire contro livelli più alti ma pensiamo che i carabinieri siano stati mandati e incoraggiati da altri», dice. Chi furono i mandanti della trattativa, almeno prima del '93, è ancora oscuro. «Servirebbe un pentito di Stato che facesse chiarezza piena», auspica Di Matteo. Di certo, per il pm «la sentenza è precisa e ritiene che Dell’Utri abbia fatto da cinghia di trasmissione nella minaccia mafiosa al governo anche nel periodo successivo all’avvento alla Presidenza del Consiglio di Berlusconi. In questo c'è un elemento di novità. C'era una sentenza definitiva che condannava Dell’Utri per il suo ruolo di tramite tra la mafia e Berlusconi fino al '92. Ora questo verdetto sposta in avanti il ruolo di tramite esercitato da Dell’Utri tra 'Cosa nostrà e Berlusconi». Parole che indispettiscono il legale di Dell’Utri, l’avvocato Giuseppe Di Peri. Che precisa: «spiace che il dottor Di Matteo rappresenti all’opinione pubblica una realtà riduttiva rispetto a quella effettiva. Con la sentenza che ha condannato Dell’Utri per il periodo precedente al 1992 ne è stata pronunciata anche una di assoluzione piena per i fatti successivi a quell'anno che riguardavano tutta la stagione politica e i rapporti tra Dell’Utri, la mafia, Berlusconi e Forza Italia. Rapporti che sono stati assolutamente esclusi». Una nota dei legali di Mori, inoltre, parla di «sentenza ingiusta e incoerente».   «L'Associazione Nazionale  Magistrati ha sempre difeso dagli attacchi l’autonomia e  l'indipendenza dei magistrati». Lo dice il presidente dell’Anm  Francesco Minisci. «Lo ha fatto - prosegue - a favore dei  colleghi di Palermo e continuerà sempre a difendere tutti i  magistrati attaccati, pur non entrando mai nel merito delle  vicende giudiziarie» In trasmissione Di Matteo lascia il posto a un altro imputato eccellente del processo, l’ex ministro dc Nicola Mancino. «Sono felice di essere stato assolto - dice - Mai saputo di una trattativa. Mi rifiutai di trattare ai tempi del sequestro Moro, figuriamoci se avrei tollerato di farlo con la mafia». L’ex guardasigilli Claudio Martelli, intervistato da Formiche, replica alle recenti affermazioni del leader dei Cinque Stelle Luigi Di Maio e sottolinea che «il tentativo di passare alla seconda, o alla terza Repubblica, è fallito il 4 dicembre del 2016. Come al solito ci stiamo aggirando tra le macerie della Prima Repubblica, un esercizio sportivo che dura da 25 anni».

leggi l'articolo completo