PADOVA. Neppure un anno di vita e il peso fermo a 10 chili. La causa era una grave malattia del fegato, una crisi di atresia biliare che non lasciava scampo: ma a salvare il piccolo ci ha pensato il papà donandogli parte del proprio fegato con un trapianto da vivente a vivente. E' accaduto a Padova, nell’Azienda ospedaliera, grazie al team guidato da Umberto Cillo. Un intervento che risale a tempo fa e reso noto solo ora. Nel suo genere registra un precedente addirittura 20 anni fa.
«Siamo riusciti a mettere sul campo tecniche di divisione del fegato così accurate e così precise sulla quantità di organo necessario per il trapianto che si possono asportare frammenti molto piccoli - rileva Cillo -. Questi poi vanno conservati con tutti i peduncoli ed è questa l’aspetto più complicato. Il nostro è un lavoro di equipe, non solo i chirurghi, ma anche chi si occupa del coordinamento regionale del trasporto di organi. E' un’azione corale che impegna circa 100 persone». Un intervento del genere «dura otto ore, ma anche 10 o 12. Una cosa è certa: non si può programmare mai quando finirà».
Il piccolo poteva ricevere, grazie al via libera concesso da parte del Ministero della Salute su richiesta del chirurgo, il fegato del padre o della madre perché per l’intervento non erano disponibili altri organi da persone decedute con un’età inferiore a 50 anni (come previsto dai protocolli). La madre è stata però subito esclusa perché in famiglia c'è un altro bambino e la scelta è caduta sul padre. L’intervento, uno 'split' come viene definito tecnicamente, ha portato all’asportazione del 25% del fegato del padre, praticamente l'intero lobo sinistro, che è stato immediatamente reimpiantato nel bambino. Un intervento complesso e articolato, ma che ha registrato un successo pieno tanto che padre e figlio ora stanno bene e dopo una breve degenza sono stati entrambi dimessi.
Al Centro di chirurgia epatobiliare e trapianti di fegato dell’azienda ospedaliera di Padova solo nel 2017 sono stati compiuti 109 trapianti da donatore cadavere e uno da donatore vivente, quello - appunto - del padre che si è sacrificato per il figlio malato di atresia biliare. Il precedente caso di donazione da vivente è del 1997 quando un ferroviere croato donò parte del suo fegato al figlio malato di tumore, salvandolo.
Il Centro nazionale trapianti ha ricordato che negli ultimi anni, grazie ad un protocollo specifico, è stato possibile ridurre la lista di attesa per i piccoli pazienti che necessitano di un trapianto di fegato. Questo protocollo prevede che il fegato di ogni donatore deceduto sotto i 50 anni di età venga suddiviso in due porzioni per consentire altrettanti trapianti. Il primo a favore di un ricevente adulto, il secondo per un paziente pediatrico.
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