ROMA. La telecamera piazzata dalla guardia di finanza lo immortala mentre, trafelato, cerca ovunque la "cimice" che è certo i suoi colleghi messinesi abbiano piazzato nel suo ufficio. Alle riprese video l'ex pm Giancarlo Longo, arrestato per associazione a delinquere, corruzione e falso, non aveva pensato.
E, sicuro di non essere "filmato", dopo una bonifica vana affidata a un tecnico, si mette a caccia e trova la microspia. Probabilmente qualcuno l'aveva avvertito. "Spregiudicato", in grado di inquinare prove, dotato di inquietante capacità criminale: così lo descrive il gip di Messina che ne ha disposto l'arresto.
Lui, 48 anni, napoletano, ma a lungo in servizio alla Procura di Siracusa, nel frattempo ha cambiato ufficio e lavora al tribunale civile di Napoli. Un trasferimento che, per il gip, non farebbe venir meno le esigenze cautelari.
Longo è uno dei personaggi chiave di una complessa inchiesta della Procura della città dello Stretto che, per la presenza di soggetti comuni, ha finito con l'intrecciarsi con un'altra indagine condotta dai pm della Capitale e con una della procura di Milano.
In tutto sono coinvolte 15 persone tra cui avvocati, imprenditori, un giornalista, consulenti di uffici giudiziari e un ex presidente del Consiglio di Stato, Riccardo Virgilio, accusato di corruzione in atti giudiziari per aver pilotato sentenze in favore del gruppo imprenditoriale Bigotti, che riuscì ad ottenere un appalto di 338 milioni. Lo scenario che dipingono i magistrati messinesi, coordinati dal procuratore Maurizio de Lucia, è quello di una giustizia divenuta "cosa loro".
Due noti avvocati siracusani, Piero Amara, tra l'altro legale esterno dell'Eni, e Giuseppe Calafiore, socio in affari di Amara e compagno della titolare dell'impresa di costruzione Frontino, avrebbero corrotto Longo.
Per anni il magistrato avrebbe "svenduto" la funzione giudiziaria pilotando procedimenti penali e intralciando indagini relative a clienti "illustri" dei due avvocati. Due nomi per tutti: i Frontino, appunto, e la società Eni.
L'ex pm non avrebbe agito da solo, ma avrebbe potuto contare sull'aiuto di una sfilza di consulenti compiacenti. Anni di corruzione in cambio di denaro e regali: Longo avrebbe ricevuto 88mila euro da Amara e i suoi. Soldi di cui non ha saputo giustificare la provenienza. Oltre al denaro sarebbe stato ricompensato con due viaggi: uno a Dubai e uno al Grand Hotel Vanvitelli di Caserta.
Tra i favori fatti da Longo ad Amara i magistrati citano il procedimento penale aperto dal pm, su input del legale, e privo di qualunque fondamento, su un presunto piano di destabilizzazione della società del cane a sei zampe e del suo ad Claudio Descalzi. In realtà, per gli inquirenti, lo scopo sarebbe stato intralciare le inchieste milanesi sulle presunte tangenti Eni in Nigeria e Algeria.
Tutto ha inizio nel 2016 quando Alessandro Ferraro, anche lui tra gli arrestati e collaboratore di Amara, denuncia alla procura di Siracusa di essere stato vittima di un tentativo di sequestro. Longo si assegna il fascicolo. E comincia a svolgere indagini con acquisizioni documentali a proposito del presunto complotto contro l'Eni e Descalzi di cui parla un personaggio citato da Ferraro, il tecnico petrolifero Massimo Gaboardi.
Si tratta di indagini di dubbia utilità, dicono gli inquirenti, e a luglio 2016 Longo è costretto a mandare tutto alla procura di Milano che sull'Eni indaga per corruzione internazionale. Nonostante questo, continua a compiere atti istruttori.
I pm milanesi, che sul depistaggio indagano da mesi, oggi hanno perquisito Massimo Mantovani, l'ex responsabile dell'ufficio legale Eni fino all'ottobre 2016 e attuale 'Chief Gas & Lng Marketing and Power Officer' del 'Cane a sei zampe', indagato per associazione per delinquere finalizzata ad una serie di reati.
Secondo la procura milanese lui ed Amara sarebbero gli organizzatori delle presunte manovre di depistaggio al fine di condizionare le inchieste milanesi Eni-Nigeria ed Eni-Algeria. La società, dal canto suo, "confida nella correttezza dell'operato del proprio management - si legge in una nota - e avvierà come in ogni altra circostanza analoga le opportune verifiche interne. Eni, non indagata, auspica che si faccia quanto prima chiarezza sui fatti oggetto di indagine".
Dell'anomalia dell'operato di Longo si accorge solo alla fine il procuratore di Siracusa Paolo Giordano e la cosa finisce al Csm. Oggi il pg della Cassazione ha chiesto alla sezione disciplinare del Csm di sospendere Longo. Ma a far scoppiare il caso del giudice corrotto sono stati otto suoi colleghi che hanno messo nero su bianco tutti i sospetti sul magistrato. Dopo averli ascoltati, il Csm aprì la procedura di trasferimento per Longo, Giordano e un altro magistrato: il caso è aperto ancora solo per il procuratore, perché i due sostituti hanno chiesto di loro iniziativa di essere trasferiti.
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