MACERATA. Il Mein Kampf lasciato in bella vista sul tavolo di casa, un coltellaccio da cucina sotto il comodino, nessuna traccia di rimorso, un atteggiamento quasi spavaldo davanti alle guardie carcerarie, l’uscita dalla caserma dei carabinieri con la testa alta e lo sguardo fiero. Tutto quello che Luca Traini ha fatto prima e dopo aver seminato il terrore con la caccia al nero per le vie di Macerata, riporta all’immagine del fascista duro e puro: «E' lucido e determinato - dicono gli investigatori - non ha fatto passi indietro, non ha cambiato versione, non si è pentito neanche per un istante». E d’altronde è stato lui stesso, prima di esser trasferito in piena notte nel carcere di Montaguto ad Ancona, a ribadire che sì, i neri voleva ucciderli tutti. E che la causa che ha scatenato questo odio è stata la morte della ragazza fuggita dalla comunità di Corridonia. «Ero in auto, stavo andando in palestra. Ho acceso la radio e ho sentito per l’ennesima volta la storia di Pamela. Ho sentito come un impulso irrefrenabile e ho deciso di agire: sono tornato indietro a casa, ho aperto la cassaforte e ho preso la pistola. Poi sono uscito per ucciderli tutti». Ha anche annunciato i suoi propositi al bar dove si è fermato a prendere il caffè, come fosse un sabato qualunque. "Ora vado a fare una strage". Prima però si era lasciato alle spalle tutto l’armamentario del buon nazista: oltre al libro di Adolf Hitler, i carabinieri hanno trovato a casa della madre un testo sulla storia della Repubblica sociale italiana, un manifesto della Gioventù fascista, una bandiera nera con la croce celtica. E hanno sequestrato il computer, dal quale non è affatto escluso possano emergere altre nefandezze simili. Una strage, dunque, che solo per un miracolo non è riuscita. Non solo, infatti, nessuno dei sei feriti è stato colpito in maniera mortale, ma Traini non ha neanche esploso tutti i colpi che si era portato dietro, tanto che i carabinieri hanno trovato in auto altre decine di proiettili. Se li avesse usati tutti, molto probabilmente sarebbe andata diversamente. E’ anche per questo che il procuratore Giovanni Giorgio ha modificato il reato ipotizzato da tentato omicidio plurimo a strage aggravata dalla finalità di razzismo, oltre a contestargli il porto abusivo di armi e altri reati. Confermato, inoltre, che non c'è alcun collegamento, passato o presente, tra i sei feriti e Traini e tra i migranti presi di mira e Innocent Oseghale, il presunto assassino di Pamela. In attesa dell’interrogatorio di garanzia che ci sarà probabilmente domani, Traini è stato dunque rinchiuso in isolamento ed è controllato a vista: nello stesso carcere dove si trova proprio Oseghale. Ma lontano da lui e dagli altri detenuti di colore: il rischio che qualcuno possa fargliela pagare, così come al nigeriano, è concreto ed infatti gli agenti della polizia penitenziaria hanno aumentato la sorveglianza nei confronti dell’uno e dell’altro. Al momento non ha detto una parola e forse davanti al Gip deciderà di cambiare versione, di tentare in qualche modo di 'ammorbidire' la sua posizione. O almeno questo sarà il tentativo del suo legale, Giancarlo Giulianelli. «Il gesto si pone al di là di qualsiasi logica: la morte di pamela ha creato un blackout totale nella sua mente. Un blackout che potrebbe configurare l’incapacità di intendere e di volere al momento del gesto», dice il legale annunciando che chiederà una perizia psichiatrica. Una strategia chiara che si fonderebbe anche su un «vissuto di sofferenza» nel passato di Traini. Quale? Una separazione dei genitori molto «tormentata» e vissuta malissimo dal ventottenne, da cui sarebbe scaturita la fine dei rapporti con il padre. E la fine della storia con una ragazza che, secondo quanto ha raccontato lo stesso Traini, aveva problemi con la tossicodipendenza. Lui avrebbe provato in tutti i modi ad aiutarla a venirne fuori, ma lei non lo avrebbe permesso e lo avrebbe lasciato. Un’altra separazione che lo avrebbe spinto sempre più verso il baratro. Quello stesso buco nero in cui non vuol finire Macerata. In centinaia, bianchi e neri, sono scesi in strada nei giardini di piazza Diaz per urlare il loro no: «fermiamo il terrorismo fascista». Terrorismo, non follia. Tra loro c'era anche Sammy Kunoun, il presidente della comunità nigeriana maceratese. "Questa era una città dell’accoglienza e oggi mi viene da piangere. Speriamo che abbassino tutti i toni e ragionino. Ma il problema è che in Italia e in Europa si vincono le elezioni sull'immigrazione».