PALERMO. Ci aveva provato già un anno fa, quando, attraverso i suoi legali, chiese di essere scarcerato per le sue precarie condizioni di salute. Un’istanza rigettata dal tribunale di sorveglianza di Roma che Marcello Dell’Utri, ex manager di Publitalia ed ex senatore azzurro, ha reiterato nelle scorse settimane. La nuova bocciatura dei magistrati è arrivata a due giorni dall’udienza in cui i difensori del detenuto, condannato a 7 anni per concorso in associazione mafiosa, sono tornati a parlare di incompatibilità col carcere del loro assistito. Davanti al collegio hanno prodotto gli esiti della loro consulenza medica che parla di peggioramento delle condizioni dell’ex politico. Valutazione condivisa anche dai consulenti della procura generale che, però, ha comunque dato parere negativo alla scarcerazione. Netti i magistrati romani che, anche sulla scorta della relazione dei loro periti, hanno negato che ci sia un peggioramento del quadro clinico e hanno affermato che le patologie cardiache e oncologiche di cui Dell’Utri soffre «sono sotto controllo farmacologico e non costituiscono aggravamento del suo stato di salute. La terapia può essere effettuata in costanza di detenzione sia in regime ambulatoriale che di ricovero ospedaliero». Nel provvedimento il tribunale parla dunque di «quadro patologico affrontabile in costanza di regime detentivo». Dopo la decisione del Tribunale di sorveglianza, il senatore ha annunciato, tramite i suoi legali, lo sciopero della fame e delle cure. «Preso atto della decisione del Tribunale che decide di lasciarmi morire in carcere - ha riferito agli avvocati De Federici e Filippi - ho deciso di farlo di mia volontà adottando da oggi lo sciopero della terapia e del vitto». Il collegio, però, che ha bacchettato i consulenti della Procura generale che si sarebbero limitati a valutare telefonicamente le conclusioni dei periti del tribunale, a riprova che l’ex senatore sia adeguatamente assistito in carcere ha affermato che «nessuno degli specialisti privati che lo segue ha ravvisato ritardi nelle cure». «La pena - hanno scritto i magistrati - può assumere il suo carattere rieducativo non prestandosi a giudizi di contrarietà al senso di umanità». Accusato di rapporti con i clan fino al 1992, Dell’Utri è stato condannato definitivamente nel 2014. Dopo il verdetto è scappato in Libano. Una latitanza lampo finita con l’arresto a Beirut. Attualmente è detenuto nel carcere di Rebibbia.