
«Gran pezzo di m.., carabiniere, appena vedo di nuovo la mia faccia, di mio fratello, in un articolo tuo ti vengo a cercare fino a casa e ti massacro. E poi denunciami sta minchia, con le mani non c'è il carcere, pezzo di m... te lo dico già subito». A minacciare il giornalista siciliano dell’agenzia Agi Paolo Borrometi è Francesco De Carolis, pluripregiudicato e fratello di Luciano De Carolis, condannato per essere uno degli «elementi di spicco del clan Bottaro-Attanasio di Siracusa».
Le minacce si sentono nell’audio pubblicato da Paolo Borrometi su «La Spia.it» in un articolo in cui venivano descritti gli affari mafiosi cittadini ed i boss in libertà, fra cui proprio De Carolis, già condannato per associazione mafiosa, omicidi e droga. De Carolis nell’audio precisa a Borrometi che "il giorno in cui ti incontro giuro giuro che con due gran pugni nella faccia ti devo mandare all’ospedale. Devo perdere il nome mio - dice De Carolis - se non ti prendo la mandibola e te la metto dietro. Hai capito? E non scordare di quello che ho promesso».
«Inaccettabili ed inammissibili minacce al giornalista Paolo Borrometi da parte del mafioso Francesco De Carolis. A Paolo Borrometi va tutta la nostra solidarietà e vicinanza in questo grave momento. Chiediamo con forza l'intervento delle istituzioni al fine di proteggere il giornalista minacciato e punire il colpevole», commenta il senatore del Movimento 5 Stelle, Mario Michele Giarrusso, componente della Commissione Antimafia.
«Questo mafioso, De Carolis, è stato condannato più volte, anche per omicidio. In un paese civile e serio - prosegue Giarrusso - sarebbe a marcire in carcere senza speranza, invece é libero, pericoloso e impunito. Di questa vergogna, che i cittadini onesti pagano ogni giorno col sangue, dobbiamo ringraziare la nostra classe politica imbelle, collusa e corrotta. In particolare vanno ringraziati il Pd e Forza Italia per tutte le norme a favore dei delinquenti che hanno approvato nel corso degli anni».
«Ormai i violenti e i pregiudicati ritengono di poter continuare ad «assestare» pubblicamente le loro 'testatè contro i cronisti e contro chiunque voglia contrastare mafie e corruzione. Questa mattina Francesco De Carolis, fratello di Luciano, già condannato e considerato dai giudici 'elemento di spiccò del clan Bottaro-Attanasi di Siracusa, ha inviato un messaggio audio al cronista Paolo Borrometti, già costretto ad una 'vita sotto scortà, minacciando di pestarlo a sangue per aver 'osatò raccontare e documentare fatti e misfatti del clan. La Fnsi non solo è solidale con Paolo Borrometi, ma ritiene doveroso che l’autore delle minacce sia «fermato» e messo in condizione di non nuocere più né ai cronisti né a chi vorrebbe vivere senza mafie e mafiosi». Lo afferma, in una nota, la Federazione nazionale della Stampa italiana.
Persone:
3 Commenti
Gabriele
20/11/2017 06:36
Speriamo venga presto arrestato e poi gettino via le chiavi.
Carlo A
20/11/2017 09:34
In Sicilia vieni minacciato giornalmente dai violenti . Limpunità è il problema vero. Il delinquente sa che ti puo minacciare e picchiare liberamente. Al massimo becca una inutile denuncia , passa un paio d'ore in questura e poi dinuovo in giro a terrorizzare la gente onesta . Non si puo più uscire da casa.
Mario
20/11/2017 10:02
Mi piacerebbe leggere che questo tizio, il De Carolis, sia stato obbligato a non risiedere più in Sicilia per almeno dieci anni. Purtroppo però, il DASPO è una misura limitata alle manifestazioni sportive ed il "soggiorno obbligato" una misura d'altri tempi. Le sole minacce non sono sufficienti a sbatterlo in galera per sempre, come meriterebbe un ceffo simile. Ma esistono comunque tanti modi, legali, per reprimere questi comportamenti orrendi. Se si vuole. Il problema è che "non si vuole". Il malavitoso che davanti le telecamere spacca il naso con una testata al giornalista, i posteggiatori che picchiano gli automobilisti, i delinquenti di quartiere ed i loro familiari che alzano le mani persino alle forze dell'ordine, ed oggi le minacce a Borrometi, sono tutti episodi che si verificano solo ed esclusivamente perché vi è la consapevolezza di una sostanziale impunità. Non per altro.