ROMA. Ci sono boss che vogliono uccidere i loro figli- come Pino Scaduto, arrestato oggi con altri esponenti del mandamento mafioso di Bagheria- e altri che non si fanno scrupolo di coinvolgere i loro ragazzi, sin da piccoli, nelle attività criminali dei clan. Si tratta di un fenomeno diffuso anche nella 'ndrangheta e nella camorra, che ha spinto i tribunali per i minorenni di diverse città del Sud (in testa Reggio Calabria, Napoli e Catania)ad allontanare i figli dei mafiosi dalle loro famiglie, dichiarando decaduta o comunque limitando la potestà genitoriale dei boss.
Una strada «dolorosa» ma spesso necessaria in nome dell’interesse del minore, secondo il Csm, che domani si prepara a rivolgere un appello al legislatore perchè consolidi queste decisioni con una norma ad hoc: introducendo la pena accessoria della decadenza dalla potestà genitoriale per i condannati per i reati associativi di tipo mafioso, che indottrinano i loro figli,rendendoli partecipi dei loro affari illeciti.
«La famiglia mafiosa , agendo in spregio ai propri doveri di educazione e salvaguarda del minore, finisce per essere una famiglia maltrattante, nei cui confronti deve essere operata una vera e propria cesura, nello stesso modo in cui si interviene nei confronti dei genitori alcolisti o tossicodipendenti»,è scritto nella risoluzione approvata dalla Sesta Commissione e domani all’esame del plenum. Destinatari sono i presidenti delle Camere, la Commissione parlamentare antimafia e il ministro della Giustizia. Provvedimenti di decadenza genitoriale sono un’"extrema ratio», riconoscono i consiglieri, ma possono diventare indispensabili per «proteggere il minore dal pregiudizio che gli deriva dalla violazione del suo diritto essere educato nel rispetto dei principi costituzionali e dei valori della civile convivenza».
L’uso dei minori nelle attività illecite della criminalità organizzata sta diventando sempre più grave, soprattutto da parte delle loro stesse famiglie. E’ lo stesso Csm a citare il caso di quest’anno di due madri che a Napoli affidavano ai loro figli di 9 e 13 anni il compito di confezionare e vendere le dosi di stupefacenti per conto del clan di appartenenza. Un’attività che avveniva in casa davanti agli occhi di altri quattro bambini, uno dei quali di soli tre anni.
Caricamento commenti
Commenta la notizia