PALERMO. Il soprannome con cui era conosciuto nel «ghetto di Alì il libico» era 'Rambò. Feroce, crudele, violento, nella prigione di Sabhah, in cui centinaia di migranti trascorrevano i giorni prima della traversata del Canale di Sicilia, era temuto da tutti. E sono state proprio le sue vittime - donne violentate, uomini torturati e picchiati, giovani che hanno visto uccidere i propri familiari - a denunciarlo consentendo così agli investigatori di arrestarlo. John Ogais, 25 anni, nigeriano, alias 'Rambò, è stato fermato dalla polizia di Agrigento nel Cara di Isola Capo Rizzuto in cui si trovava da febbraio scorso. Era finito nel Centro dopo essere stato soccorso, insieme ad altri migranti, mentre cercava di raggiungere le coste siciliane a bordo di un gommone, viaggiando con i disperati che per mesi aveva seviziato. Interrogati dagli agenti, i superstiti del ghetto di Alì, la prigione in cui una delle tante organizzazioni che gestiscono la tratta dei migranti trattiene uomini, donne e bambini in attesa del viaggio verso l’Italia, hanno raccontato le violenze subite. « E' lui, 'Rambo", hanno detto alla polizia di Crotone che ha segnalato la presenza del nigeriano alla Squadra Mobile di Agrigento impegnata nelle indagini sulla banda di Ogais e dei suoi complici. Mesi fa, su inchiesta della Dda di Palermo, avevano arrestato uno dei capi dell’organizzazione, Sam Eric Ackom, salvato nel Cie di Lampedusa dal linciaggio dei sopravvissuti alle torture. Entrambi - Ackom e Ogais - sono accusati di tratta di uomini, violenza sessuale, tortura, omicidio, sequestro di persona, reati aggravati dalla transnazionalità dell’organizzazione criminale a cui appartenevano. La banda sequestrava i migranti che attraversavano il deserto per raggiungere le coste libiche, li portava a Sabhah, in un casolare, li minacciava con le armi, li torturava, e chiedeva ai loro familiari di pagare un riscatto per liberarli e consentire loro di partire per l’Italia. Le donne venivano violentate. "Durante la mia permanenza all’interno di quel 'ghettò da dove era impossibile uscire ho sentito che l’uomo che si faceva chiamare Rambo ha ucciso un migrante. So che mio cugino e altri hanno provato a scappare e che sono stati ripresi e ridotti in fin di vita a causa delle sevizie cui sono stati poi sottoposti», ha raccontato uno dei migranti interrogati. Parole confermate da decine di persone sentite dalla polizia. "Sono stato torturato con i cavetti elettrici in tensione. Mi facevano mettere i piedi per terra dove precedentemente avevano versato dell’acqua. Poi azionavano la corrente elettrica per fare scaricare la tensione addosso a me. Subivo delle scariche elettriche violentissime. Questo avveniva circa due volte alla settimana. Alcune volte mi malmenavano in varie parti del corpo con dei tubi. Altre mi legavano le braccia e poi mi appendevano in aria, per picchiarmi violentemente», ha messo a verbale un’altra vittima. «Una volta, - ha detto ai poliziotti - ho avuto modo di vedere che 'Rambò il nigeriano ha ucciso, dopo averlo imbavagliato e torturato a lungo, un migrante suo connazionale che si trovava lì con noi». Orrori che ricorrono nei racconti dei migranti.