MILANO. Totò Riina nutriva «un palese astio» nei confronti di don Luigi Ciotti e le frasi minatorie da lui pronunciate durante l’ora d’aria nel carcere di Opera poco meno di quattro anni fa, pur avendo «la forza intimidatrice tipicamente mafiosa», «erano destinate a rimanere prive di qualsivoglia potenziale rilevanza esterna» e quindi non hanno avuto la concreta possibilità di essere percepite dal sacerdote.
E’ questa in sintesi la ragione per cui il gip di Milano Anna Magelli ha accolto, seppur con diversa motivazione, la richiesta di archiviazione avanzata dal pm Bruna Alberini e alla quale si era opposto il fondatore di Libera, dell’indagine con al centro le minacce di morte del 'capo dei capì indirizzate a Don Ciotti.
Minacce emerse da una intercettazione ambientale di un dialogo datato 14 settembre 2013 avvenuto nel luogo dedicato al "passeggio» e alla «socialità» della casa di reclusione milanese in cui il capo di Cosa Nostra aveva detto al presunto affiliato alla Sacra Corona Unita, anche lui in regime di 41 bis, Alberto Lorusso «Ciotti, Ciotti, putissimu pure ammazzavano».
«L'inchiesta è stata archiviata - ha commentato il legale di Riina, Luca Cianferoni - essenzialmente per carenza di relazione tra agente e persona offesa. E’ una decisione semplice. Il diritto - ha aggiunto - risente del clamore mediatico, ma ha anche anticorpi per affermare le proprie ragioni, ogni tanto».
Per l’avvocato di Don Ciotti, Enza Rando, «il gip, con un provvedimento molto puntuale, ha accolto la nostra tesi sul fatto che le parole di Riina fossero minacce aggravate dal metodo mafioso, e questo ci ha dato soddisfazione. Ma siamo perplessi perché ha ritenuto che non ci fosse la prova che il boss volesse comunicare quelle parole al destinatario».
Il giudice nel suo provvedimento di archiviazione ha ritenuto che il reato di minaccia non si sia concretizzato non solo perché «manca (...)la prova» di una relazione, «anche mediata, tra minaccianti e destinatario della prospettazione del male ingiusto», ma anche per il fatto che «non ricadeva» nella sfera di controllo del boss di Corleone né in quella di Lorusso, (i quali peraltro non avevano il sospetto di essere sottoposti a controlli auditivi), «la concreta possibilità che il messaggio di morte potesse essere percepito da don Ciotti». Tant'è che della vicenda «ha avuto notizia solo nell’agosto del 2014 e tramite i mass media», dopo il deposito delle trascrizioni delle intercettazioni al processo palermitano sulla trattativa Stato-Mafia.
Riina, ora ottantaseienne, è attualmente ricoverato nel reparto detenuti dell’ospedale Maggiore di Parma ed è in attesa dell’udienza fissata per il 7 luglio davanti al Tribunale di Sorveglianza che dovrà decidere, anche alla luce della recente pronuncia della Cassazione - non immune da polemiche - sull'istanza della difesa del boss che da anni chiede il differimento della pena o i domiciliari per motivi di salute.
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