Lunedì 23 Dicembre 2024

La Commissione Antimafia in ospedale a Parma per Riina, Bindi riferirà in commissione

ROMA. Una delegazione della Commissione parlamentare Antimafia ha svolto ieri un sopralluogo all'Ospedale Maggiore di Parma dove è ricoverato, in regime di 41 bis, il boss Totò Riina. Oggi la presidente dell'Antimafia Rosy Bindi riferirà in Commissione sull'esito del sopralluogo. Il sopralluogo all'Ospedale Maggiore di Parma - a quanto si è appreso - è stato compiuto daBindi e dai vicepresidenti della Commissione, Claudio Fava e Luigi Gaetti. In Commissione Antimafia verrà audito il ministro dell'Interno Marco Minniti. Il boss di Corleone, in carcere dal 15 gennaio '93 e condannato almeno a 19 ergastoli, è stato al centro di una polemica da quando la Cassazione si è pronunciata sul ricorso del suo difensore affermando che anche il capo dei capi ha diritto a una morte dignitosa, partecipa da paziente grave qual è a tutte le udienze dei processi in cui è imputato, anche se in videoconferenza e su una barella. La pronuncia con la quale la suprema Corte per la prima volta apre al ricorso della difesa di Riina, che da anni chiede il differimento della pena o i domiciliari per motivi di salute ha suscitato polemiche, in primis dalle vittime di mafia. I giudici gli hanno negato sempre questo diritto, chiesto tra l'altro in passato anche da Bernardo Provenzano, trattenuto fino alla morte al 41 bis. Ora la richiesta di Riina dovrà tornare al tribunale di sorveglianza per rivedere la questione alla luce di quanto sottolineato oggi dalla Cassazione, che ha annullato il primo provvedimento del tribunale, poiché il giudice nel motivare il diniego aveva omesso "di considerare il complessivo stato morboso del detenuto e le sue condizioni generali di scadimento fisico". Il tribunale non aveva ritenuto che vi fosse incompatibilità tra l'infermità fisica di Riina e la detenzione in carcere, visto che le sue patologie venivano monitorate e quando necessario si era ricorso al ricovero in ospedale a Parma. Ma la Cassazione sottolinea, a tale proposito, che il giudice deve verificare e motivare "se lo stato di detenzione carceraria comporti una sofferenza ed un'afflizione di tale intensità" da andare oltre la "legittima esecuzione di una pena".

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