PALERMO. Giuseppe Graviano, boss stragista al 41 bis, avrebbe messo incinta la moglie durante la detenzione al carcere duro. Alla donna sarebbe stato permesso di entrare nell’istituto di pena e stare col marito. E’ lo stesso Graviano a raccontarlo, salvo poi attenuare la versione iniziale, a un compagno di detenzione. I colloqui erano intercettati e il dialogo è finito agli atti del processo sulla trattativa Stato-mafia. «Dormivamo nella cella assieme», dice Graviano. «Mio figlio è nato nel '97 - racconta Graviano - ed io nel '96 ero in mano loro, i gom (gli agenti di polizia penitenziaria ndr)». «Ti debbo fare una confidenza - prosegue il boss - prima di nascere il bambino, prima di incontrarmi con mia moglie, siccome una cosa del genere mi era successa in altre occasioni pure, io ho detto no ci devo provare». Il racconto prosegue: «io sapevo che doveva venire la situazione, io tremavo... e dormivamo nella cella assieme. Cose da pazzi, tremavo». «Quando è uscita incinta - conclude - mi è finito quel tremolizzo, l’ansia che avevo». «Io sono distrutto fisicamente e psicologicamente con tutte le malattie che ho perché da 24 anni subisco vessazioni denunciate alla procura, entrano in stanza mi mettono tutto sottosopra ... mentre cammino perdo l’equilibrio e mi è stata diagnosticata una patologia per la quale perderò la memoria». Così il 28 marzo scorso il boss Giuseppe Graviano risponde ai pm di Palermo che, dopo averlo intercettato in carcere per quasi un anno, gli contestano il contenuto delle conversazioni avute con un co-detenuto. Nei dialoghi Graviano parla di rapporti con Silvio Berlusconi, dell’aiuto che avrebbe dato al leader di Forza Italia al quale attribuisce un ruolo nelle stragi del '93 e al rammarico perché questi lo avrebbe abbandonato. Nel merito delle sue rivelazioni il boss non entra, ma elenca ai magistrati, chiedendo anche il loro aiuto, tutte le vessazioni che subirebbe al carcere duro. «Nella mia cella - dice - il sole viene due mesi l’anno, è un posto invivibile d’estate e d’inverno». Poi decide di avvalersi della facoltà di non rispondere ai pm che continuano a chiedergli chiarimenti su quanto detto al co-detenuto.