ROMA. Un ricordo profondo, un tributo alla memoria di Giovanni Falcone, della sua scorta e di tutte le vittime di mafia. Nell'ultimo libro del presidente del Senato Pietro Grasso intitolato "Storia di sangue, amici e fantasmi", l'ex procuratore della Repubblica di Palermo racconta di sé, delle sue paure, delle sue convinzioni, di Cosa Nostra e sottolinea - in maniera anche evidente - i forti rapporti tra le mafie e lo Stato.
"Cosa Nostra non è solo un fenomeno criminale - ha raccontato in una lunga intervista al Messaggero - ma un sistema in cui la ricerca del consenso e i rapporti con la politica e l'imprenditoria rappresentano le tre gambe del tavolo". A pochi giorni dal venticinquesimo anniversario della morte di Giovanni Falcone, la chiave di lettura del libro - la cui prefazione è firmata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella - non è "commemorativa", ma mostra un percorso a due direzioni che, guardando al futuro, trasforma la tragedia di Falcone in note di speranza, ma guardando al presente evidenzia come ancora Cosa Nostra abbia contatti con lo Stato.
"Cosa Nostra ha sempre cercato contatti con lo Stato - ha aggiunto durante l'intervista - perché la forza della mafia deriva dalle risorse, dagli affari, dagli appalti pubblici. Provenzano, per esempio, nutriva dubbi sull'opportunità di eliminare i politici, perchè uccidere i propri interlocutori non gli sembrava una grande idea. Uccidere i magistrati è una cosa, poter ricattare lo Stato per rinverdire un'alleanza alimentata da reciproci favori, un'altra. Il problema è che questioni del genere vanno provate in aula: c’è un processo in corso da tempo, aspettiamo di vedere come finirà".
Alla domanda dov’è la mafia oggi?, Pietro Grasso risponde: "In nessun posto e dovunque: se guardiamo le statistiche si muore di più in famiglia, ma questo significa soltanto che la mafia silente di un tempo, quella che non vuole riflettori e confusione intorno ai propri affari è tornata di moda. Alla globalizzazione di mafie che non attaccano più frontalmente le istituzioni, ma investono nel mondo, dobbiamo rispondere con una globalizzazione della legalità e con leggi che favoriscano la cooperazione giudiziaria".
Per la seconda carica dello Stato Messina Denaro - fino a prova contraria - non è morto. "Alcuni dicono che sia morto, ma io non ci credo - dice -. Forse non è mai diventato il capo perché, pur sollecitato, ha preferito continuare a curare solo i propri affari. Oggi, in piena globalizzazione, non è più necessario rimanere in loco per farlo".
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