ROMA. Non è da sottovalutare la rottura o la presenza di fessure nella canna fumaria che aspira gli odori della cucina nel caso in cui gli 'effluvi' di fritti e sughetti finiscano con il diffondersi anche nell'appartamento dei vicini. L'avvertimento viene dalla Cassazione che - seppur con la prescrizione - ha confermato la 'colpevolezza' per "immissioni moleste" di una coppia di Monfalcone (Gorizia) che abitava al pianterreno di un palazzo e che 'molestava' olfattivamente i vicini del terzo piano in casa dei quali 'salivano' gli odori dei loro intingoli per via di una "fissurazione" verticale nella canna fumaria. Ad avviso dei supremi giudici, il reato di "getto pericoloso di cose" punito dall'articolo 674 del codice penale si può riferire anche alle "molestie olfattive, a prescindere dal soggetto emittente", quindi non importa se provengano da uno stabilimento industriale o da una apparentemente innocua abitazione privata. Con la precisazione che quando non esiste una soglia di tollerabilità stabilita dalla legge, si deve fare riferimento al criterio della "normale tollerabilità" degli 'odoracci' per il cui accertamento - spiega il verdetto 14467 della Terza sezione penale - "non è necessario disporre perizia tecnica, potendo il giudice fondare il suo convincimento, come avvenuto nel caso di specie, su elementi probatori di diversa natura e dunque sulle dichiarazioni delle persone offese e del tecnico di loro fiducia" chiamato ad ispezionare la canna fumaria. La coppia di coniugi dediti alla cucina 'pesante' - Roberto V. e Maria P., tutti e due di 78 anni, lui di Monfalcone lei originaria della Basilicata - aveva fatto ricorso alla Suprema Corte, nonostante la prescrizione, contro la condanna alla rifusione delle spese legali sostenute da vicini 'appestati' dai loro "fumi, odori e rumori" perché dalla canna bucata entravano anche i rumori della vita quotidiana domestica che si svolgeva a pianterreno. Inutile dire che tra le due coppie da tempo non correva buon sangue e non solo per problemi 'olfattivi'. La prescrizione era stata pronunciata dalla Corte di Appello di Trieste il primo aprile del 2014, il primo grado si era concluso davanti al Tribunale di Gorizia il 20 luglio 2011.