Domenica 17 Novembre 2024

Account spiati, rimosso il capo della polizia postale

ROMA. Il capo della polizia Franco Gabrielli ha disposto l'avvicendamento al vertice della polizia postale, e all'attuale direttore, Roberto Di Legami, è stato assegnato un nuovo incarico. Tra i motivi alla base della decisione anche l'aver sottovalutato la portata dell'indagine sullo spionaggio dei politici senza informare i vertici del Dipartimento di pubblica sicurezza. La notizia dell'avvicendamento del capo della Polizia Postale era stata anticipata da alcuni quotidiani. Di Legami andrà ora all'Ucis, l'Ufficio centrale interforze per la sicurezza personale del Dipartimento mentre a dirigere la Polizia Postale andrà l'attuale dirigente del compartimento del Lazio Nunzia Ciardi. Si chiama 'Pobu, Political and business', ed è una cartella virtuale contenente quasi 700 file relativi a personaggi politici, 'appoggiata' in un server negli Stati Uniti in cui sono conservati oltre 18 mila username, i nomi con cui gli utenti vengono riconosciuti online: è la prova che qualcuno, almeno dal 2010, spia l'intero sistema di potere italiano, rubando informazioni e dati sensibili dei vertici politico-economici dello Stato e delle principali aziende del paese. Per farne cosa? L'inchiesta della Polizia Postale che ha portato in carcere Giulio Occhionero, un ingegnere nucleare dalla vita monastica massone e poco socievole, e sua sorella Francesca Maria, una manager con un dottorato in chimica, apre scenari inquietanti per il Paese se è vero, come scrive il Gip di Roma Maria Paola Tomasselli, che vi è stata una «alterazione del sistema, con grave rischio per la sicurezza nazionale»: sono state acquisite informazioni che «nell'interesse politico interno e della sicurezza pubblica devono rimanere riservate». Acquisite per almeno sei anni: dal maggio del 2010 all'agosto del 2016. Si tratta dunque di una vicenda che non è affatto «un'iniziativa isolata» dei due fratelli ma piuttosto si colloca in un più ampio contesto in cui operano «interessi illeciti oscuri» tanto da aprire «ulteriori spazi per l'aggravamento delle contestazioni». Se infatti sarà dimostrata la «segretezza» dei dati sottratti e «la loro pertinenza al settore politico e militare, già oggi altamente probabile», dice ancora il Gip, «sarebbe inevitabile ricondurre le azioni criminose nell'ambito dei delitti contro la personalità dello Stato». Vale a dire procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato e spionaggio politico e militare. Quali siano però questi interessi, il giudice non lo dice esplicitamente. Ma nelle carte una pista è tracciata e porta dritto a Luigi Bisignani, l'uomo d'affari finito al centro dell'indagine napoletana sulla P4, condannato ad un anno e 7 mesi per associazione a delinquere, favoreggiamento, rivelazione del segreto e corruzione. In una delle versioni del virus utilizzate per infettare i computer, i dati rubati dai pc di politici e istituzioni sono stati inviati a 4 indirizzi mail che, sostiene il giudice, «risultavano essere già emersi nel luglio 2011 nel corso del procedimento della cosiddetta P4». Ma non solo: quegli indirizzi «sarebbero riconducibili ad un'attività di esfiltrazione dei dati e 'dossieraggio' illecito effettuata con modalità del tutto analoghe» a quelle utilizzate dai fratelli Occhionero. Uno di questi indirizzi - 'purge626 gmail.com - tra l'altro, «sarebbe collegato a operazioni di controllo da parte di Luigi Bisignani nei confronti dell'onorevole Papa e delle Fiamme Gialle». L'onorevole Papa è Alfonso Papa, il parlamentare del Pdl condannato a 4 anni e 6 mesi sempre nell'indagine napoletana: avrebbe promesso ad imprenditori informazioni riservate su indagini in corso ottenute grazie ai suoi contatti con settori della Guardia di Finanza. Bisignani però si difende: «non ho mai spiato nessuno. Nè l'onorevole Papa nè le Fiamme Gialle nè ho mai avuto accesso alle mail citate o conosciuto gli indagati». È un fatto però che quegli indirizzi mail tornano oggi a distanza di cinque anni ed il sospetto è che i fratelli Occhionero siano stati il 'braccio' operativo di qualcuno. Bisignani? O altri dietro di lui? Al momento «non è dimostrato il collegamento con altri procedimenti penali» precisa il giudice, ma è probabile che nei prossimi giorni gli inquirenti sentiranno l'uomo d'affari, così come non si escludono altre iscrizioni nel registro degli indagati. Quel che è chiaro è però l'imponente mole di informazioni delicate che sono state sottratte, anche se per conoscere la loro natura bisognerà attendere l'esito della rogatoria già inviata dall'Italia negli Usa. Dal server è stato estratto un database, denominato 'InfoPyramid.accdb', contenente una tabella con 18.327 username univoche, quasi 1.800 delle quali con tanto di password. Le user sono catalogate in 122 categorie denominate 'Nick': c'è la politica appunto, gli affari e la massoneria. O le iniziali dei primi due caratteri del nome e cognome. L'elenco è strutturato con il nome della vittima e la sua mail, le date dei tentativi di intrusione e l'indirizzo mail da cui è partito l'attacco. Gli investigatori hanno accertato, con un solo mese di intercettazioni telematiche, che sono stati infettati un centinaio di pc di studi professionali e legali, di istituzioni come la Regione Lazio e il Vaticano, di sindacati (la Cgil di Torino), di società di costruzioni o attive nel settore sanitario e delle assicurazioni. Mentre gli account rubati, oltre a politici di spicco come Renzi e Draghi, riguardano 5 ministeri (Esteri, Interni, Giustizia, Istruzione e Tesoro), Camera e Senato e aziende come Eni, Finmeccanica e Enel. Ma «non si può escludere», scrive il Gip, che oltre a quelli sequestrati, «esistano altri server che non sono stati individuati o addirittura server di backup». Il che significa che i dati rubati potrebbero essere molti ma molti di più.

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