TORINO. A 24 anni, praticamente senza lavoro, voleva continuare a ricevere 1.500 euro al mese dal padre divorziato. Perché, in linea di massima, aveva diritto a un tenore di vita simile a quello che la famiglia conduceva prima della separazione, quando il genitore faceva l'amministratore delegato di una grande azienda e percepiva 167.648 euro lordi all'anno. I giudici, però, gli hanno detto di no: se alla sua età non ha raggiunto l'autosufficienza economica, e soprattutto non sembra nemmeno incamminato sulla strada per arrivarci, la colpa è sua. E' una sentenza severa quella pronunciata dalla settima sezione civile del tribunale di Torino nell'ambito di una complicata causa di cessazione degli effetti civili di un matrimonio (celebrato nel 1986 e terminato con reciproco consenso nel 2008) tra facoltosi appartenenti alla borghesia cittadina. Il principio applicato dal collegio presieduto da Cesare Castellani (l'estensore del provvedimento è Andrea De Magistris) è quello della "colpevole inerzia". Il giovane aveva detto che intendeva riprendere gli studi, interrotti nel 2013 in quarta liceo, facendo presente che nel 2014 aveva conseguito l'abilitazione di personal trainer di primo livello. Ma i giudici hanno approfondito il caso. E hanno concluso così: "E' passato da un'attività all'altra, preparatore atletico, corso di ristoratore o sommelier o agente immobiliare, senza soffermarsi in modo serio e continuativo su una sola di esse che gli consentisse, quanto meno, un inizio di autonomia". E siccome il ventiquattrenne non ha saputo dimostrare che queste vicissitudini professionali sono indipendenti dalla sua volontà, il mensile è revocato con effetto immediato. E' stato il padre a prendere l'iniziativa giudiziaria. L'ormai ex amministratore delegato (l'azienda, del ramo dell'intermediazione mobiliare, è finita in concordato preventivo nel 2013), ogni mese consegnava, oltre ai 1.500 euro al figlio, 2.000 euro all'ex moglie, la quale però risultava "titolare di oltre un milione di euro investiti e di beni immobili" a Torino e provincia, oltre ad essere assegnataria della casa coniugale e a percepire 2.300 euro al mese tra affitti e rendimenti finanziari. L'uomo, che percepisce canoni di locazione per oltre 19 mila euro e ha altre fonti di reddito, chiedeva di smettere di staccare quegli assegni. Ma la donna aveva rilanciato proponendo un rialzo a 2.500. Qui i giudici hanno avuto la mano più leggera. Considerando che, in effetti, durante il matrimonio i coniugi mantenevano un "tenore di vita elevato" al quale la signora deve almeno potersi adeguare, si sono limitati a ridurre la somma: 1.500 euro ogni trenta giorni.