STRASBURGO. Le donne in Italia continuano a incontrare «notevoli difficoltà» nell'accesso ai servizi d'interruzione di gravidanza, nonostante quanto previsto dalla legge 194 sull'aborto. L'Italia viola quindi il loro diritto alla salute. Lo ha affermato il Consiglio d'Europa, pronunciandosi su un ricorso presentato dalla Cgil. L'Italia discrimina medici e personale medico che non hanno optato per l'obiezione di coscienza in materia di aborto. Lo afferma il Consiglio d'Europa, accogliendo un ricorso della Cgil e sostenendo che questi sanitari sono vittime di «diversi tipi di svantaggi lavorativi diretti e indiretti». A rendere problematico l'accesso all'aborto, secondo Strasburgo, sono tra l'altro una diminuzione sul territorio nazionale del numero di strutture dove si può abortire e la mancata sostituzione del personale medico che garantisce il servizio quando un operatore è malato, in vacanza o va in pensione. A individuare i problemi sul tappeto è stato il comitato europeo per i diritti sociali del Consiglio d'Europa, nella decisione sul ricorso presentato dalla Cgil contro l'applicazione della legge 194. Il comitato ha rilevato che le strutture sanitarie «non hanno ancora adottato le misure necessarie per rimediare alle carenze nel servizio causate dal personale che invoca il diritto all'obiezione di coscienza, o hanno adottato misure inadeguate». È la seconda volta che il comitato arriva alla conclusione che l'Italia non sta rispettando quanto stabilito dalla legge 194.