AGRIGENTO. Il governo intende percorrere la strada della depenalizzazione del reato di immigrazione clandestina. Per la Procura di Agrigento sarebbe un traguardo. Da anni, e più delle altre Procure, ad Agrigento - che è competente su Lampedusa e Porto Empedocle - si fa fronte al "peso" degli sbarchi di immigrati. Nel 2011 sono stati circa 13 mila gli extracomunitari iscritti nel registro degli indagati, oltre 16 mila invece quelli del 2014 e ben 26 mila i migranti indagati nel 2015. L'ipotesi di reato, prevista ed applicata dall'Italia a quanti - prescindendo dalla nazionalità - sbarcano sulle coste della penisola, non soltanto non è riuscita, svolgendo un'azione dissuasiva, a frenare i «viaggi della speranza» e gli approdi, ma non ha mai aiutato le indagini di investigatori ed inquirenti ed ha, piuttosto, rappresentato l'occasione per far intasare, con fascicoli su fascicoli, gli uffici giudiziari, facendo lievitare, e non di poco, i costi della «macchina» della giustizia. A confermarlo, ieri, è stato il procuratore capo di Agrigento Renato Di Natale. Anche il suo aggiunto, Ignazio Fonzo, è stato più volte chiaro: «Il legislatore dovrebbe rendersi conto che il reato è del tutto inutile, sia sul piano preventivo che repressivo. Sul piano repressivo perché chi sta fuori e viene dall'estero - aveva spiegato Fonzo - non conosce la legge italiana e anche se fosse informato di cosa si dovrebbe preoccupare, di una pena pecuniaria di 5 mila euro?».
La Procura di Agrigento, da anni, lancia appelli per la depenalizzazione del reato di immigrazione clandestina. Procuratore Di Natale, cancellarlo significherà vedere arrivare più immigrati?
«Assolutamente no. Abbiamo, anzi, la riprova del contrario. Nonostante la presenza del reato, il numero dei migranti che sbarcano è elevatissimo. Nel 2015 abbiamo iscritto nel registro degli indagati 26 mila persone sbarcate sulle coste dell'Agrigentino. Non parliamo di fascicoli, dunque, ma di posizioni. Al contrario di altre Procure, ad Agrigento, per snellire l'iter giudiziario, ad ogni sbarco, apriamo un solo fascicolo iscrivendo nel registro tutti i migranti».
Questa ipotesi di reato ha rappresentato un ostacolo alle indagini?
«Sì, visto che nel momento in cui un immigrato mette piede sul territorio italiano viene iscritto, come obbligo di legge, nel registro degli indagati. Qualsiasi sua dichiarazione deve pertanto essere rilasciata alla presenza di un difensore. Se invece i migranti potessero essere inquadrati come soggetti informati sui fatti, assieme al mediatore culturale e all'interprete, si potrebbe riuscire non soltanto ad identificare gli scafisti ma a fare luce sulla rete che consente di arrivare in Italia. L'essere indagato, già per un italiano rappresenta condizione di intimidazione formale. Queste povere persone arrivano dopo essere scappate dalla loro patria, dopo tanti stenti e dopo viaggi spesso terrificanti. Sentirsi dire: "Sei indagato" equivale concretamente a non farli parlare. La depenalizzazione potrebbe aprire, invece, le porte alla collaborazione dei migranti sia per l'identificazione degli scafisti, sia, soprattutto, per individuare i trafficanti della tratta».
Quanti immigrati imputati si sono presentati, nel corso di questi anni, in aula per il processo a loro carico?
«Pochissimi. Tra il momento del loro arrivo e quello dell'avvio del processo passa qualche anno. Se non hanno ottenuto l'asilo politico o lo status di rifugiato, sono in giro per l'Italia e l'Europa. Sono irreperibili».
Procuratore, i migranti se condannati per il reato di immigrazione clandestina devono onorare una ammenda di 5 mila euro...
«Una ammenda che non è stata mai pagata. Si tratta, del resto e lo si vede dalle condizioni in cui arrivano, di imputati nullatenenti. L'immigrato espulso dall'Italia, inoltre, non verrà mai chiamato a pagare».
Procuratore, a cosa è servita, dunque, questa fattispecie di reato?
«Sappiamo per certo, lo dimostrano i numeri, che non ha concretizzato un'azione dissuasiva, non ha aiutato alle indagini, anzi può solo danneggiarle e non c'è esecuzione della pena visto che l'ammenda non è stata mai pagata. La conclusione non la posso trarre io. È di carattere politico ed io applico solo la legge».
Il reato di immigrazione è del 2009. L'Unione europea lo ha bocciato più volte perché punisce non un comportamento, ma uno status. Questa normativa cosa ha prodotto?
«Da allora ad oggi, un intasamento degli uffici giudiziari, delle attività dei magistrati, siano essi pubblici ministeri o giudici, che si occupano di queste indagini. Ed ha prodotto un costo giudiziario perché prima di celebrare un processo occorre cercarli in tutta Italia, capire se sono ancora presenti ed eventualmente dove sono finiti e questo si traduce in un costo. Tenuto conto del fatto che il nostro organico, in Procura, non è integralmente coperto, sarebbe stato impossibile gestire 26 mila posizioni processuali e per questo motivo ho delegato le indagini ai Vpo (vice procuratori onorari ndr.), lasciando la possibilità ai sostituti procuratori di gestire altre delicate vicende».
Depenalizzare l'immigrazione clandestina farà calare i controlli al momento degli sbarchi e farà aumentare il rischio terrorismo?
«I controlli per l'identificazione dei migranti che approdano ci saranno sempre. Il fotosegnalamento è obbligatorio e deve essere fatto. I migranti, sto pensando nello specifico a quanto sta avvenendo negli ultimi giorni a Lampedusa, devono capire di dover rispettare le nostre regole basilari per l'accoglienza. Ed è anche attraverso il rispetto di questa regola per l'identificazione che ci potremo proteggere dal terrorismo. Grazie alle fotosegnalazioni e alle impronte digitali sapremo sempre da dove una determinata persona è passata».
In passato la Procura di Agrigento, sempre in prima linea perché Procura di confine, ha sollevato eccezioni di costituzionalità della legge, ma la Corte le ha respinte, ritenendo il reato, di fatto, compatibile con il nostro ordinamento.
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