PALERMO. In Italia era arrivata tre anni fa. Ed era riuscita a vincere un dottorato di ricerca in Economia all'Ateneo di Palermo. Le sue tradizioni, la sua fede e le sue convinzioni politiche, però, non le ha mai dimenticate. E, dietro la professione ufficiale di ricercatrice universitaria, ha nascosto una rete di contatti con esponenti di organizzazioni terroristiche islamiche e foreign fighters e una fitta attività di propaganda in favore di Al Qaeda.
La polizia l'ha fermata domenica, dopo mesi di indagini: intercettazioni telefoniche e un'analisi capillare dei suoi pc che hanno confermato i sospetti degli inquirenti. Per Khadga Shabbi, 45 anni originaria di Bengasi, in Libia, l'accusa è istigazione a delinquere a commettere reati in materia di terrorismo, aggravata dalla transnazionalità. Nell'istanza di convalida del fermo il pm Geri Ferrara, titolare dell'inchiesta coordinata dal procuratore Francesco Lo Voi e dall'aggiunto Leonardo Agueci, aveva chiesto al gip di disporre nei confronti della ricercatrice la custodia cautelare in carcere.
Ma il giudice non ha ritenuto che ci fosse il pericolo di fuga e non ha convalidato il fermo, sostenendo, poi, che la misura cautelare più idonea fosse l'obbligo di dimora. Una valutazione commentata seccamente dal procuratore. "La misura è del tutto inadeguata alle esigenze cautelari e all'intensissima rete di rapporti intrattenuti dall'indagata, oltre che contraddittoria e contraria alla più recente giurisprudenza. Pertanto la impugneremo", ha commentato Lo Voi.
L'inchiesta della Digos sulla Shabbi prende il via da alcune segnalazioni. La polizia comincia dal web mettendo in luce una intensa attività di propaganda svolta dalla ricercatrice in favore di una serie di organizzazioni terroristiche islamiche come Ansar Al Sharia Libya, tra le maggiori oppositrici del governo di Tobruk, e del suo leader Ben Hamid Wissam.
La donna, interessatissima alle vicende politiche del suo Paese, visitava continuamente le pagine Facebook di diversi gruppi legati all'estremismo islamico, condivideva sul suo profilo facebook materiale di propaganda della attività di organizzazioni terroristiche: volantini, 'sermoni' di incitamento alla violenza e scene di guerra. Dall'inchiesta sono emersi anche contatti con due foreign fighters che avevano combattuto in Libia ed erano poi tornati in Inghilterra e in Belgio: impossibile identificarli - fa notare il pm - anche a causa della scarsa cooperazione dei due paesi europei.
La ricercatrice avrebbe anche tentato di fare avere un visto di studio al nipote, Abdulrazeq Fathi Al Shabbi, combattente ricercato dalle truppe dell'esercito regolare, vicino all'organizzazione Ansar al Sharia, formazione salafita collegata alla rete di jihadismo internazionale autrice, nel 2012, dell'attentato a Bengasi al Consolato americano. Il ragazzo, che la nipote definisce un martire, sarebbe morto in un conflitto a fuoco e in Italia non sarebbe mai giunto. In diverse intercettazioni la donna chiede vendetta per il nipote.
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