PALERMO. Guida il pool che coordina le indagini della Direzione distrettuale antimafia contro una mafia di tipo diverso, le organizzazioni criminali che spediscono donne, uomini, anziani e bambini e li mandano allo sbaraglio per il Mediterraneo, non curandosi delle migliaia di morti che il loro business impone. Maurizio Scalia, procuratore aggiunto di Palermo, non vuole azzardare paragoni fra delinquenti associati, siciliani o stranieri, europei o africani che siano, né affermare o escludere che Cosa nostra si sia interessata al business che vede come oggetto gli esseri umani. Di una cosa, però, è certo: «Il più grosso ostacolo nella nostra azione di contrasto è il reato di immigrazione clandestina. Non è una remora per l’immigrazione, non la ferma né la rallenta. Rende tutto più difficile a noi. E basta». In sostanza le leggi che erano state invocate come la panacea di tutti i mali ora producono effetti opposti a quelli desiderati. «Non esprimo valutazioni ma mi limito ai fatti. Quello previsto dall’articolo 10 bis del testo unico, la normativa che disciplina la materia dell’immigrazione, è un reato punito con un’ammenda. Il legislatore si è a lungo interrogato se e come reprimerlo, la Corte costituzionale si chiede che senso abbia infliggere pene pecuniarie a soggetti che tendono ad andare via dal nostro Paese. Ma non è questo il punto». Il punto è che non fa paura, visto che il fenomeno migratorio non accenna a diminuire? «È altro. Intanto se il migrante chiede asilo politico, la contestazione rimane senza effetto. Ma al di là di questo, c’è l’aspetto procedurale, che intasa i nostri tribunali e rallenta le nostre indagini. Perché in teoria dovremmo iscrivere nel registro degli indagati, prima o poi, tutti coloro che arrivano. E se anche non facciamo in tempo a iscriverli tempestivamente — c’è altro da fare, nell’emergenza — dobbiamo comunque trattarli come indagabili. Dunque sentirli con le garanzie di legge». Per capire, poniamo il caso che arrivino mille persone, la metà delle quali maggiorenni: se tutte decidono di rendere dichiarazioni sulla traversata e sugli scafisti, ci vogliono 500 avvocati o giù di lì. È corretto? «Più o meno. Se a coloro che intendono parlare non diamo un difensore, le sue dichiarazioni non saranno poi utilizzabili e dunque non varranno niente contro i criminali. Poi, visto che spesso sono persone solo in transito, che tendono ad andare via prima possibile, dobbiamo ricorrere all’incidente probatorio, per cristallizzare le loro testimonianze: questo comporta la necessità di dare avvisi a tutti i difensori d’ufficio, rispettare i termini... e intanto l’urgenza è svanita, chi doveva allontanarsi se n’è andato, chi voleva scappare lo avrà fatto. Questa estate abbiamo dovuto fare tutto di corsa». La tratta degli esseri umani ormai viene vista, nell’immaginario collettivo e al di là delle ripetute smentite, come uno dei canali di accesso in Europa di terroristi e altri personaggi pericolosi. «Io non mi sento di affermarlo né di escluderlo, in generale. Posso dire che dall’operazione Zodiaco questo non emerge, non ci sono notizie ufficiali in questo senso». E in altre indagini? «Non potrei rispondere a questa domanda e infatti non rispondo. Ho già detto però che non si può affermare né escludere. Posso aggiungere che il terrorista ha bisogno di tempo per muoversi, per agganciare i contatti, per avere conoscenza di luoghi e persone, fornirsi di documenti. Il canale dell’immigrazione con i disperati delle carrette del mare non sembra quello migliore per chi investe sui terroristi e sul terrore in Occidente». Senta, ma la mafia è estranea a tutto? Tollera che si facciano soldi — tanti, tantissimi soldi, stando al business di cui parlano i vostri indagati — sul suo territorio e non chiede “la sua parte”? «Vale il discorso di prima: affermare o escludere circostanze del genere non è cosa che si possa fare in maniera netta. Va detto però che gli affari, i pagamenti, vengono conclusi fuori dal nostro Paese e dunque qui materialmente denaro non ne gira. Una volta che sono in Sicilia, i migranti tendono ad andare verso il Nord Italia e in Europa. Non è facile, per la mafia, inserirsi, tenendo conto anche delle difficoltà di comunicazione, dovute al fattore linguistico. Però un interesse delle cosche locali c’è». È sempre più evidente che i centri di accoglienza per migranti, da Mafia Capitale alle inchieste della Procura di Catania sul Cara di Mineo, siano al centro di notevoli appetiti criminali. Ma nella parte occidentale dell’Isola? «L’attenzione è massima anche da parte nostra. E non mi faccia aggiungere altro». Ma questo fenomeno della tratta si potrà fermare, rallentare, arginare? «Il mare grosso del periodo invernale, i timori per i crescenti arresti, che noi portiamo avanti da oltre un anno e mezzo con condanne severissime, le forti perdite umane che hanno ridotto il numero dei “clienti” dei trafficanti, hanno un po’ dirottato verso l’Egeo la migrazione, che avviene sempre più anche via terra». L’Italia è sotto accusa davanti alla Ue, perché non prende o non prendeva le impronte di chi arriva qui. Voi dovreste controllare che le procedure e le leggi siano rispettate. «A criticare spesso siamo tutti bravi, ma il metodo di lavoro è ormai sperimentato e collaudato e funziona da almeno un paio di anni. Non si può non ricordare però che, al momento dell’arrivo in Italia, le emergenze sono anche altre: a parte i soccorsi materiali, a parte la necessità di contare i morti e di organizzare autopsie a decine, in strutture che spesso non bastano, dal punto di vista investigativo dobbiamo cercare di scoprire gli scafisti, sentendo a caldo i testimoni, che sono spaventati e magari appaiono reticenti. Devo dire che l’apparato investigativo formato da Sco, Squadre mobili di Palermo e Agrigento e Capitaneria di Porto ha dato risultati eccellenti». Somigliano alle nostre mafie, queste organizzazioni? «Forse alla camorra, dato che ci sono una serie di organizzazioni autonome le une dalle altre. Ma a differenza dei camorristi, questi criminali non si combattono fra di loro. Ce n’è per tutti, la materia prima — spiace doversi esprimere in questi termini, quando si parla di vite umane, ma i responsabili della tratta le considerano così — è abbondante, non c’è bisogno per loro di farsi la guerra. E delle vite che si perdono si disinteressano del tutto».