PALERMO. Rivela che i «numeri delle domande che servono ad ottenere risarcimenti a seguito di attentati del racket delle estorsioni sono in calo». Ma spiega che non è un'inversione di tendenza: «Semmai, i clan hanno bisogno di fare cassa e non perdono tempo con chi si oppone alle richieste del "pizzo" facendo allungare i tempi in cui si realizza l' introito illecito». E annuncia che sono diventati operativi «i nuovi criteri per l'iscrizione delle associazioni anti racket all'Albo delle prefetture», fondamentali prime -linee nel processo di ribellione contro le cosche. Un bilancio a tutto tondo quello di Santi Giuffrè, prefetto, Commissario Straordinario per il Coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura: «Anche se è cambiato il modo con cui la criminalità organizzata esige il "pizzo", rimane alto il numero delle richieste estorsive, specialmente in Sicilia». Le domande di ristoro per estorsioni subite sono state 255 nel 2013, 213 nel 2014 e 172 fino ad oggi; quelle per vittime dell' usura 758 nel 2013, 660 del 2014, e 835 fino all' ottobre scorso.
Prefetto, come legge queste cifre?
«I dati sul calo delle istanze per l' accesso al fondo che aiuta le vittime di estorsioni non significa che ci sia un venir meno dei reati di estorsione o una riduzione delle denunce. Sta solo cambiando il modo in cui la criminalità organizzata esige il "pizzo". Si sta creando una sorta di "criminalità imprenditoriale" che preferisce non perdere tempo per affermarsi sul territorio ad ogni costo facendo danneggiamenti o attentati, e quando trova un commerciante che recalcitra davanti alla richiesta di soldi, o ha sulla vetrina il simbolo di "Addiopizzo", tira dritto. Verso il successivo obiettivo che potrà consentirle di fare cassa senza ricorrere ai danneggiamenti».
Fatto nuovo come quello, recente, di chi chiede il "pizzicello", una somma ridotta data la crisi economica..
«Sì, è un fenomeno in crescita. Come quello di chi vuole riciclare capitali illeciti riuscendo, tramite le estorsioni, a entrare come titolare nelle attività economiche. Ecco perché il Commissario antiracket ha fatto una proposta, accolta, per impedire questa strategia...».
La racconti, prefetto Giuffrè...
«È stato deciso di allargare i criteri per la concessione dei fondi ai titolari di attività economiche vittime di estorsioni e usura. La criminalità organizzata sente sempre più il bisogno di riciclare capitali sfiancando il commerciante con le estorsioni o offrendo prestiti ad usura a chi è in difficoltà. Prestiti che spesso non possono essere restituiti dal commerciante che si vede costretto a cedere l' azienda. Un fenomeno in evoluzione verso cui il mio ufficio guarda con interesse e intensità. Con le modifiche normative, adesso è previsto che si liquidino i rimborsi per intero quando si è denunciata un'estorsione i cui autori sono già stati rinviati a giudizio. Fino ad ora si dava subito il 70% della somma e il saldo alla condanna. Troppo tempo: i processi a esponenti di grossi clan di estortori durano di solito cinque anni».
Cambiano i criteri per essere ammessi all' Albo delle associazioni antiracket...
«Partiamo dal valore storico dileggi, che in 25 anni hanno consentito la nascita e lo sviluppo dell' antiracket, e con una consapevolezza nuova: bisogna stare accanto alle vittime ma è necessario qualificare il mondo che affianca le vittime. Vent'anni fa lo Stato sentiva il bisogno di essere affiancato da chiunque in questa lotta contro il racket. Oggi lo Stato può chiedere credenziali più esclusive. Così, per essere ammessi all' Albo delle prefetture, sarà necessario costituirsi parte civile nei processi e condurre campagne pubblicitarie o organizzare convegni contro il racket. Ma diventa indispensabile che l' associazione affianchi le vittime durante le udienze. Perché chi ha denunciato il racket e si trova in un' aula di tribunale, davanti alla folla di parenti di arrestati, deve avere al suo fianco la società civile che si manifesta nella forma della associazione antiracket».
Una nuova linea, insomma...
«Si chiede maggiore professionalità alle associazioni antiracket, bisogna abbandonare l' ipocrisia dell' idea del dilettantismo come valore. Bisogna avere il coraggio di dire che chi fa queste attività deve avere un approccio professionale, non può essere un impegno a cui ci side dica nel tempo libero. È anche arrivato il momento di superare definizioni di antiracket e antiusura: ora si deve parlare di legalità e illegalità. Le associazioni che hanno un brand di grande capacità nelle iniziative antiracket devono guardare avanti. E porsi nella società civile come persone che aiutano la collettività a crescere in tutti i settori della legalità».
C' è chi ha speculato con le insegne dell' antimafia...
«Abbiamo fatto questo decreto anche perché vogliamo selezionare chi partecipa a questo mondo. È fin troppo comodo salire tutti sul carro dell' antimafia. In una certa epoca, quando c' era il diluvio della mafia, si poteva non distinguere se salvarsi salendo su una barchetta o su una nave più attrezzata. Oggi è il momento di selezionare il mezzo su cui imbarcarsi. E lo vogliamo fare dando questo strumento in più ai prefetti».
Come vi state aggiornando?
«Veniamo accusati di essere lenti. Purtroppo, il nostro lavoro è sempre intersecato con l' iter delle vicende giudiziarie ed esige verifiche "in progress". Un gruppo di studio dell' ufficio del Commissario ha individuato piccoli accorgimenti che consentiranno di accelerare i passaggi per il ristoro in favore delle vittime. Non c' è la bacchetta magica, ma intanto potenzieremo il versante dell' informatica con un "portale dedicato". Alcune prefetture pilota- in Sicilia è stata individuata Catania- avranno un potenziamento on line. Un esempio? Tutti dovranno dotarsi della posta elettronica certificata che oggi equivale ad una raccomandata su carta. Prefetture e ufficio del Commissario Antiracket potranno dialogare on line e velocizzare le pratiche».
Avete fatto pure uno spot tv che invita a ribellarsi a racket e usura...
«Siamo stati venti giorni su tv nazionali con spot incisivi realizzati senza ricorrere a mirabolanti spese che in queste epoche non si possono affrontare. È un modo per di re "noi ci siamo". Ma soprattutto è un modo per rivolgersi anche al mondo della prevenzione. C' è un mondo di persone che non è ancora vittima di estorsione e usura ma per le mille difficoltà che hanno oggi le attività commerciali sono potenzialmente esposte a rischio di usura. In quest' ottica sarebbe opportuno che si potenziassero gli strumenti di affiancamento alle potenziali vittime nel momento della prevenzione. In sede parlamentare si può discutere, individuando percorsi e norme sempre più efficaci».
I casi di ribellione contro i clan stanno aumentando?
«Palermo e in modo principale la Sicilia occidentale conoscono, avendo vissuto in prima persona i guasti del fenomeno, l' intelligente e mirata efficienza delle associazioni che hanno aiutato la società civile a crescere dal punto di vista culturale. "Pago chi non paga" è un' idea eccezionale anche per quanto riguarda il recupero dei beni architettonici di Palermo. Un brand esportabile. In Campania le associazioni antiracket sono molto vitali, in Calabria siamo all' anno zero. Qualcosa di buono viene fatto in Puglia dove però si avvertono preoccupanti situazioni criminali. Ma, ad esempio a Foggia, c' è stata una reazione che ricorda quelle di Patti e Capo d' Orlando di tanti anni fa».
E nel nord Italia?
«Siamo stati a Milano e Genova, in prefettura abbiamo incontrato gli operatori per condivide le nostre best pratics, esportare i nostri metodi e sondare anche i procuratori antimafia. Ma c' è una differenza profonda tra sud e nord. Al sud la mafia quando un' impresa apre un cantiere offre subito la "messa a posto" per evitare intimidazioni e pressioni esterne. Al nord la mafia offre servizi, e lì è l' imprenditore che avvia l' approccio con la criminalità organizzata per una questione di convenienza economica: il clan si occupa della bonifica illegale dell' amianto, del movimento terra, tutto con prezzi più bassi rispetto a quelli delle imprese legali. Al nord manca l' assoggettamento dell' imprenditore alla mafia: è lui che la cerca».
Eppure, lei lo dice sempre, ribellarsi conviene...
«È questo il vero segnale su cui dobbiamo battere: la convenienza sempre più evidente del dire no. Agli imprenditori e ai commercianti lo sottolineiamo in ogni occasione. E pensiamo che oggi - a volte più che una scelta di civiltà - la spinta alla collaborazione con lo Stato dipenda dalla crisi economica che viviamo. Anche se non sarà una scelta di vita o di civiltà sarà una scelta di necessità. Ecco perché il Commissario deve dare risposte celeri a chi ha denunciato. Più veloce è il ristoro a chi ha diritto ad averlo, maggiore sarà il vantaggio economico del soggetto che si è ribellato e, in definitiva, di tutta la società».
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