Domenica 22 Dicembre 2024

Lo Voi e Principato: boss insofferenti, Cosa nostra ti usa e poi ti abbandona al tuo destino

PALERMO. Un cold case che non è solo un'indagine su un vecchio delitto, quasi dimenticato, uno dei tanti commessi nelle periferie mafiose, in territori soggetti ancor oggi all'«autorità» di una Cosa nostra dura a morire. L' inchiesta sulla tragica fine di Salvatore Lombardo (ucciso il 21 maggio 2009), come si dice tra coloro che studiano storia e costumi dell' organizzazione mafiosa, è paradigmatica: riassume in sé, infatti, una serie di implicazioni, dalla rivolta della figlia venticinquenne che induce il padre a dire la verità, dopo che l' uomo tanto aveva mentito, all' insofferenza e alla ribellione di due mafiosi per l' atteggiamento menefreghista e distaccato di un superlatitante come Matteo Messina Denaro, che pensa solo a se stesso (testualmente, «si fa solo la m... sua»), ma anche di un' associazione pronta a spremere e poi a mollare i molto cosiddetti «uomini d' onore». Insomma, non è solo un vecchio delitto avvenuto in un paese della provincia di Trapani. E la ricostruzione, da parte dei pm Carlo Marzella e Francesco Grassi, di un fatto datato, con intercettazioni fatte oggi, restituisce l' immagine viva, palpitante, di un' organizzazione in piena fibrillazione. Ecco perché il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi e l' aggiunto Teresa Principato fanno con i cronisti una serie di riflessioni sui fermi, eseguiti ieri, di Attilio Pietro Fogazza e Nicolò Nicolosi, che rispondono del delitto assieme a Giovanni Domenico Scimonelli, già detenuto e per questo non sottoposto al fermo. La Principato, nella Dda capeggiata da Lo Voi, si occupa di Trapani e delle ricerche del superlatitante Matteo Messina Denaro. Partiamo dal fatto in sé: una persona che è considerata un ladruncolo, forse qualcosa di più, viste le modalità del furto, viene uccisa. Ma Cosa Nostra non era "sommersa", non aveva rinunciato alle operazioni che suscitano clamore, come gli omicidi? Lo Voi: «Questo delitto di sei anni fa dimostra innanzitutto che l' organizzazione mafiosa è sempre la stessa. Le regole, le punizioni, il modo di ragionare e di agire non cambiano. Non c' è un' evoluzione, in questo senso. Le forme di presenza sul territorio si affermano anche così, soprattutto così. Si trattò infatti di un omicidio eseguito in un' area territoriale ben definita e fu un segnale importante per la popolazione». Sembra quasi che ci sia un modo diverso di agire fra centro e periferia, fra Palermo e Trapani. Nel capoluogo gli omicidi sono l' extrema ratio, mentre invece in provincia... Principato: «Non c' è dubbio che la mafia trapanese è rimasta assolutamente legata alle tradizioni più antiche. Lombardo, la vittima, aveva fatto uno sgarbo eclatante a Scimonelli, titolare di un supermercato De spare che è un personaggio di vertice, importante, dell' associazione. E i capi non si toccano, perché chi osa farlo va incontro a una sola punizione: la morte. È questo il segnale inequivocabile che è stato lanciato a tutti. Tra l' altro il furto messo a segno da "Funciazza" - soprannome dell' ucciso - era stato particolarmente grave e dannoso, perché per entrare nel supermercato era stato praticamente scoperchiato il tetto. Un' offesa nell' offesa, tant' è che i due mafiosi che, intercettati, ci danno senza saperlo una chiave di lettura nuova del fatto, parlano di Mimmo Scimonelli, proprietario del Despar, cioè il luogo "dunni attummuliò Funcia'", dove è cascato, ha creato le condizioni per la propria eliminazione Funciazza-Lombardo». In mezzo a questi spunti di riflessione negativa, affiorano anche segnali positivi. Uno è rappresentato dalle indagini in sé, condotte in sinergia tra diverse forze investigative. Lo Voi: «Come era avvenuto in altri casi, il coordinamento e lo scambio di informazioni tra Squadra Mobile e Comando provinciale dei carabinieri di Trapani con la Squadra Mobile di Palermo e il Servizio centrale operativo, lo Sco, ha consentito di mettere insieme i dati necessari - immagini delle telecamere di sorveglianza dei negozi, tracciamenti satellitari e telefonici, testimonianze - per ricostruire la dinamica del delitto, attraverso gli spostamenti dei killer». Ma il segnale di speranza è rappresentato soprattutto dalla figlia che, a 25 anni, si ribella al padre e lo "costringe" a smettere di mentire. Principato: «È un punto importante, questo. Per dare un' idea del livello di arroganza dei sicari, basti pensare che agirono a volto scoperto, tale e tanta era la certezza che nessuno avrebbe deposto contro di loro, e che per bloccare la strada e uccidere in tutta tranquillità utilizzarono un Tir della Despar, proprio il supermercato del mandante. Eppure nella vicenda c' è la giovane che, assieme alla madre - ma determinante è soprattutto lei - induce il padre a dire la verità su una circostanza fondamentale per l' inchiesta. E lo fa in maniera pressante, insistente, anche manifestandogli disprezzo per il fatto che il genitore fino a quel momento, in sostanza, aveva ostacolato l' accertamento delle responsabilità». La ragazza usa espressioni forti, consapevoli, moderne. Dice al padre: "Negando l' evidenza davanti alla giustizia diventi un complice... Vabbè, tu tipo trai salvare la faccia con quelli là, ma poi la faccia non te la salverai con il resto della tua famiglia, delle persone che ti conoscono e di tutto il resto". E le due donne sono preoccupate che sia più coinvolto nel delitto di quanto non appaia. Non è male. Principato: «Decisamente. L' effetto che queste pressioni sortiscono sul padre e marito, da parte di figlia e moglie, sono importanti. Perché quello ci ripensa e dopo essere uscito dalla caserma, in cui aveva negato per l' ennesima volta fatti che ai carabinieri apparivano chiarissimi, si ferma, richiama il maresciallo e torna sui propri passi, in tutti i sensi. Va di nuovo dai militari e stavolta dice quasi tutto quello che sa». Ultimo ma per niente ultimo aspetto, l' insofferenza di due boss verso il superlatitante. Lo Voi: «Anche questo è un segnale importante, perché viene captato nel corso di un colloquio recentissimo tra due persone considerate molto vicine a Matteo Messina Denaro. Ci dà due certezze: che le intercettazioni restano un fondamentale strumento investigativo e che le indagini pressanti hanno effetto». Principato: «Gli appunti che vengono mossi sono notevoli. Messina Denaro viene criticato per il fatto che non intervenga e non dia segnali di presenza sul territorio. Che si sia fatto passare di sopra anche gli arresti dei familiari più stretti. Che non faccia nulla di eclatante per reagire alle indagini e agli arresti. Che pensi solo a se stesso e alla sua latitanza. Ne invocano un segnale di presenza. Arrivano addirittura a ipotizzare che, in queste condizioni, il boss "si ritiri", possa mettersi da parte senza dirlo a nessuno e che qualcuno possa dire di agire a nome suo senza permesso. Ma non solo questo: i due si lamentano anche del fatto che con le indagini vengano tolti loro i soldi e che si finisca in galera». Qui finisce il ragionamento dei due magistrati. Restano le parole forti dei due boss , segnali di rivolta vera e propria: «Ti fanno fare lo sciacquino, senza mangiare né bere ti arrestano... te la mettono in c... loro si fanno i c... loro e tu l' hai presa solo in c...? Ma per cosa? Quando hanno bisogno ti cercano...». Risponde l' altro interlocutore: «Quando hanno bisogno ti cercano subito... quando non hanno bisogno o quando hai bisogno tu puoi morire!». Sì, decisamente non è solo un' inchiesta su un cold case di periferia.

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