ROMA. «Il Papa in Africa vuole aprire la porta della pacificazione». Monsignor Giovanni d’Ercole, vescovo di Ascoli Piceno e conduttore dell’approfondimento religioso di Rai 2 «Sulla via di Damasco», spiega così l’apertura da parte di Papa Francesco della Porta Santa per il Giubileo nella Repubblica Centrafricana, nella cattedrale di Bangui, durante il suo viaggio apostolico. «È un atto di predilezione per l’Africa e per una nazione come quella Centrafricana che è dilaniata da diversi anni da una guerra fratricida», spiega monsignor D’Ercole, che conosce bene il continente africano, dove per otto anni è stato missionario. Ed è sicuro che qualcosa della presenza di Francesco resterà: «Il passaggio del Papa lascia una scia, sia nella coesione sociale sia nell’impegno per la giustizia». Come definirebbe la presenza del Papa in Africa? «La presenza del Papa è stata una scelta coraggiosa. Il Papa nel cuore dell’Africa, e in un cuore ferito, vuole aprire la porta della misericordia che è la porta della pacificazione e del perdono. La popolazione lo ha atteso con grande gioia, sia musulmana che cristiana. E l’incontro con esponenti di altre religioni vuole stimolare i credenti a instaurare la pace in quella nazione, nell’Africa e nel mondo». Non solo un invito alla pace ma anche all’inclusione sociale per battere la povertà. «Questo viaggio mi sembra voluto da Papa Francesco proprio per sottolineare alcune problematiche che l’Africa vive in questo periodo. Una cultura, quella africana,molto diversa da quella europea. È un continente dove i giovani sono tantissimi, dove l’età media in alcuni Paesi è inferiore ai 25-30 anni. Rappresentano il futuro dell’umanità, ma si tratta anche di popolazioni che soffrono proprio a causa di quei problemi di cui il Papa ha parlato, cioè la povertà, la corruzione, i problemi della sanità e dell’ingiustizia sociale. Il Papa è andato in Africa per proclamare il suo amore per i poveri e anche per farsi portavoce delle loro giuste rivendicazioni di giustizia e solidarietà». È la prima volta che la Porta Santa viene aperta fuori da Roma. Che cosa significa ciò? «Significa che il Papa ha voluto che questo anno non consista nel chiamare tutti nel centro della cristianità, che è Roma, come è avvenuto nel passato, ma è piuttosto un movimento dal centro verso le periferie, in modo tale che in tutte le parti del mondo il messaggio della misericordia venga incarnato dall’incontro di tutti quanti nelle molte porte sante aperte in tutte le diocesi. È un messaggio per far sì che l’anno santo non sia solo un pellegrinaggio, ma anche un percorso fatto insieme di conversione, di riconciliazione e di pacificazione». Come hanno accolto gli esponenti delle altre religioni l’arrivo del Papa in Africa e il suo invito alla pace? «Gli esponenti delle altre religioni sono stati molto contenti di incontrare Francesco. Anche perché la presenza del Papa dà un risalto enorme alla loro influenza sul continente africano, dove c’è un’anima profondamente religiosa. E il Papa, anche attraverso i suoi discorsi improntati al primato di un Dio che ci rende tutti fratelli, mi pare che aiuti tutte le religioni a dialogare tra loro. E come succede sempre, dopo l’incontro con Papa Francesco rimane un grande entusiasmo». Quali prospettive di pace possono crearsi dopo la visita del Papa in Africa? «Credo che l’Africa possa essere un continente con tante energie positive ma con tante problematiche. Come è successo dopo la visita di Benedetto XVI e dopo le visite di Giovanni Paolo II, che si è recato in 42 dei 56 Stati africani ed è stato 16 volte in Africa, anche al termine della visita di Francesco qualcosa cambierà. Se ragioniamo in termini politici dovremmo riconoscere che le possibilità non sono enormi, perché gli interessi sono così radicati, così diversi e i poteri sono così stratificati che credere in un cambiamento repentino sia un’utopiama la presenza del Papa sicuramente non lascerà le cose come prima, soprattutto perché rende coscienti le comunità. La soluzione dei problemi tuttavia è sempre qualcosa di più lento e più difficile, perché sradicare, ad esempio, la corruzione e le ingiustizie sociali è un lavoro che richiede molta pazienza, molto dialogo e anche molto tempo». Quali differenze si possono individuare tra i viaggi di Giovanni Paolo II e quello di Francesco in Africa? «Papa Giovanni Paolo II fece cose analoghe a quelle di Francesco,ma Papa Bergoglio ha posto come leitmotiv del suo ministero l’amore per i poveri e la sua presenza con loro. E quando è arrivato in Uganda ha detto proprio: “Sono qui per stare con i poveri”. Quando è arrivato in Kenya ha detto: “Sono qui perché amo i poveri e voglio farmi vostro portavoce”. Credo che in questo momento storico in cui vediamo il numero del popolo dei poveri aumentare, avere nel Papa un portavoce, un difensore, un avvocato di giustizia e di pace sia un grande segno di speranza per loro». Secondo lei, che Giubileo sarà? «Credo che sarà un Giubileo diverso dagli altri, perché ci saranno forse meno eventi oceanici ma ci sarà più coincidenza nei cuori, perché l’intenzione del Papa è far si che ogni comunità al suo interno viva il Giubileo come una riscoperta della centralità di Gesù Cristo, volto della misericordia di Dio che porta pace e che fa della Chiesa, come il Papa ha scritto, l’oasi della misericordia aperta a tutti. Una chiesa che il Papa ama dire in uscita, una Chiesa aperta all’interno della quale nessuno si senta escluso.Credo che l’accentuazione sulla misericordia sia proprio un appello, una proposta e un abbraccio perché nessuno si senta escluso nella casa del Signore che è la Chiesa». È stata molta la preoccupazione per la sicurezza di Francesco alla vigilia del viaggio in Africa, a causa delle minacce terroristiche. Ma aveva forse ragione il Papa quando ha detto “sono più preoccupato delle zanzare”… «Il Papa aveva chiaro che quando qualcuno va nel nome di Dio non deve temere nulla, qualsiasi cosa avvenga è nel nome di Dio. Ed è proprio con questa consapevolezza che lui si è mosso. In secondo luogo, molte delle paure vengono causate anche da stati di ingiustizia e di odio radicato. Il Papa invece è portatore di pace. Forse non tutti lo amano, ma tutti ricevono qualcosa da lui».