PALERMO. In Sicilia le condutture idriche sono come le strade. Un colabrodo. Sono fragili e facilmente perforabili nel momento in cui arrivano le prime piogge. E oltre a essere strutture spesso e volentieri vetuste, sono radicate in un contesto di dissesto idrogeologico. È questo il pensiero di Valerio Agnesi, professore di Geomorfologia e preside della scuola di Scienze di base e applicate all’università di Palermo e anche direttore del Museo Geologico Gemmellaro, che commenta l’emergenza acqua che sta colpendo da settimane Messina e da ieri anche la zona dell’Agrigentino. Quella di Messina, ad esempio, è un’emergenza provocata dalle frane che hanno danneggiato la condotta a Calatabiano. «Siamo di fronte a una Regione che continua a sottovalutare il problema, rimandando alla fatalità la causa dei disagi. Insomma, come andare avanti bendati fino al precipizio», afferma Agnesi a proposito del dissesto che in Sicilia continua a provocare frane. Smottamenti che sono alla base di tutti i problemi che sta vivendo in queste settimane Messina dopo la doppia rottura della conduttura. Mentre una nuova emergenza sta colpendo i comuni di Canicattì, Ravanusa, Campobello di Licata e in parte Agrigento a causa di tracce d’inquinamento nell’acqua distribuita da Girgenti Acque attraverso le condotte del Fanaco di proprietà di Siciliacque che «a titolo prudenziale, nell’attesa degli esiti di ulteriori analisi, ha interrotto l’approvvigionamento idrico per la presenza di batteri nell'acqua». «La nostra situazione è patologica, il nostro territorio è fragile e, quando piove, queste sono le risposte che ci dà. Risposte che parlano di danni e nel peggiore dei casi anche di morti. Vittime che piangiamo senza poi, però, trovare delle soluzioni per evitarne altre in futuro», afferma Agnesi. Professore Agnesi, i messinesi in questo momento sono senz’acqua. Cos'è successo in quella conduttura? «Il problema di Messina è abbastanza chiaro: si è trattato di alcune frane che hanno danneggiato la conduttura. Le frane sono le conseguenze del dissesto del territorio, un problema comune a gran parte della Sicilia, ma in particolare nel Messinese. Le frane colpiscono tutto: strade, abitazioni e anche le condutture che, al pari ad esempio delle strade, sono strutture e come sono messe male le strade, lo sono anche le condutture nella nostra Isola». E dire che una riparazione era pure stata fatta. E adesso l'acqua che arriva con il by-pass della condotta dell'Alcantara. I lavori per la messa in sicurezza della collina di Calatabiano non sono ancora iniziati e per questo il tempo previsto di 20 giorni per riparare anche la condotta di Fiumefreddo sembra non basti. Come si spiegano tutte queste difficoltà? «Perché dopo la prima riparazione si è verificato un altro guasto su un altro tratto della conduttura. E questa è un’ulteriore conferma che tutta la rete è fragile, il problema non è di facile risoluzione e il territorio è esposto a problemi di questo genere». Di chi sono le responsabilità di quanto sta avvenendo in questo momento? «Il problema, a mio parere, è che in Italia e in particolare qui in Sicilia tendiamo a fare sempre le cose a metà. Dopo gli eventi tragici avvenuti in Campania, a Sarno, alla fine degli anni Novanta, sono state emanate delle leggi da parte dello Stato che prevedevano che le Regioni realizzassero i cosiddetti piani di bacino. Questi progetti mirano a individuare le aree a rischio per poi prevedere interventi che possano prevenire rischi e danni. Ebbene, questo piano va molto a rilento e non è ancora stato completato. Questo significa, quindi, che la Sicilia non ha ancora in mano questo strumento che sarebbe necessario perché metterebbe in allerta le istituzioni. Se il legislatore avesse questo strumento, avrebbe uno stato conoscitivo della situazione idrogeologica importante. E l’approccio nella progettazione territoriale sarebbe diverso. Finché non ci sarà questo strumento, ci sarà una conoscenza parziale. O, peggio ancora, conosceremo i reali rischi di alcune zone solo a danno fatto per poi intervenire dopo. Purtroppo, siamo carenti e credo che manchi un impegno serio a procedere con questo piano». Le conseguenze di questo approccio limitato quali sono? «Quando le frane ci colpiscono, c’è sempre qualcuno che cade dalle nuvole. Come se le frane fossero provocate da fattori impossibili da prevedere. Come se fossero frutto del destino. Non è così. Prendiamo l’esempio dell’interruzione dell’autostrada A19 Palermo-Catania. Era dal 2005 che si sapeva della frana e che prima o poi sarebbe arrivata a colpire anche il pilone dell’autostrada. Eppure, non è mai stato fatto nulla e si è dovuti arrivare al cedimento e alla chiusura. Colpa anche di normative di certo non chiarissime che portano ad assistere a continui rimpalli di competenza. L’abolizione delle Province, ad esempio, sta creando problemi alla manutenzione delle strade. Le strade provinciali rappresentano delle arterie strategiche per il trasporto e adesso sono abbandonate a loro stesse». Quali possono essere le prime soluzioni? «Innanzitutto, la Regione deve trovare le risorse per completare e aggiornare il piano idrogeologico. La Regione dovrebbe porsi un obiettivo: non vivere più su una terra che ci frana sotto i piedi o che deve interrompere di fornire nel 2015 un bene primario come l’acqua a grosse fette di popolazione. Gli uffici regionali dovrebbero collaborare di più con le università, dove ci sono dati scientifici e si portano tuttora avanti diversi studi. Dopo è necessario applicare un riordino legislativo e stabilire chiaramente le competenze. Solo a quel punto ci si può trovare preparati alle emergenze. Oggi, invece, si lanciano le allerte meteo, si chiudono le scuole e si prega. Ma non può sempre andare avanti così». Messina è storicamente ormai una zona a rischio. Ma ci sono altre zone della Sicilia a serio rischio frane che potrebbero vedere danneggiate anche le proprie condutture idriche e restare poi senz'acqua? «Le frane avvengono sui versanti collinari e nelle zone vicine alle pareti montuose. Ma anche le aree interne non si salvano dai rischi. Quindi, dipende dalle zone. Dove la città si estende sulle colline, aumenta il rischio. E poi ci sono città come Caltanissetta ed Enna che già nella loro interezza si collocano in zone montuose e aree che possono dare luogo a frane. A Messina e in tutti quei comuni sulla fascia jonica, invece, i bacini sono dissestati. Attenzione, infine anche ad alcune aree del Palermitano e dell’Agrigentino, dove sono presenti numerose zone argillose».