ROMA. «La corruzione è diventata uno degli elementi costitutivi della società italiana. Noi pensiamo ai grandi appalti, ma basterebbe sfogliare le sentenze della Corte dei Conti per scoprire tutto un mondo: dal preside che si vende i diplomi, all' infermiere che intasca soldi per farti saltare la fila quando devi fare un esame medico». Sergio Rizzo, firma tra le più prestigiose e attente del Corriere della Sera, non mostra certo stupore sfogliando il bollettino degli scandali - «in pratica, ce n' è uno ogni giorno!» - che ieri ha interessato Palermo per un giro di tangenti in cui sarebbe coinvolto pure Dario Lo Bosco, presidente di Rfi-Rete Ferroviaria Italiana, una controllata delle Ferrovie dello Stato. Al centro dell' inchiesta "Black List", un libro mastro della corruzione. Il procuratore Francesco Lo Voi ha evidenziato inquietanti analogie con molte indagini sul racket. La malaburocrazia come la mafia? «Forse il parallelismo è un po' esagerato. C' è anche da dire, però, che negli ultimi anni è stato dimostrato da alcune inchieste come il rapporto tra burocrazia e mafia sia addirittura organico. S'è visto, inoltre, che ormai la criminalità organizzata non ha più bisogno neppure di minacciare: se li compra e basta. Questo, peraltro, pesa maledettamente sulla nostra economia». Cioè? «Quando hai una Pubblica amministrazione condizionata dai poteri criminali, è impossibile avere uno sviluppo logico e sano. Sto tornando dalla Terra dei Fuochi e da Casal di Principe in Campania, lì tutto questo si tocca con mano. Anche più che in Sicilia». Dall'Anas della "dama nera", Antonella Accroglianò, a Rfi del presidente Dario Lo Bosco. In sette giorni, la sintesi di decenni di storia della concussione nel Bel Paese? «Fa impressione soprattutto che nulla è cambiato, malgrado lo choc prodotto in tutto il Paese da Tangentopoli. Dovremmo essere vaccinati. Invece, malgrado le vicende di Expo e Mose o gli arresti di Mafia Capitale, si continua a corrompere e a essere corrotti. Vuol dire che questo sistema è entrato nell' intimità della società italiana, scendendo fino ai livelli più bassi. In questa degenerazione, i politici hanno enormi responsabilità». Sempre loro... «Sono passati 23 anni da Mani Pulite, la situazione è peggiorata. Allora, la corruzione era funzionale alla politica. Adesso, invece, è diventata funzionale alla corruzione tant'è che in alcune intercettazioni di Mafia Capitale abbiamo sentito un dirigente pubblico chiedersi perchè quelli si erano permessi di votare diversamente da come volevano loro». Lo Bosco aveva una poltrona a Rfi e un'altra all'Ast, l'Azienda Trasporti della Regione Sicilia. Sempre pericolose, le collezioni di incarichi? «Queste collezioni andrebbero sempre evitate, anche perchè portano spesso a strane cose. Abbiamo appena visto che cos' è accaduto con l' ex presidente dell' Inps che era anche direttore di un ospedale (Antonio Mastropasqua, finito otto giorni fa ai domiciliari su ordine della magistratura romana per falso e truffa ai danni del sistema sanitario nazionale, ndr). Abbiamo sei leggi sul conflitto di interessi, eppure ne siamo devastati». Nella giungla delle regole si annidano i professionisti della concussione? «Diceva Tacito, con una frase bellissima, che moltissime sono le leggi quando lo Stato è corrotto. Nel nostro Paese le regole si sovrappongono le une alle altre in modo sconclusionato. Più ciò avviene, più si hala tentazione di prendere le scorciatoie. Se devi fare i conti con una conferenza dei servizi formata da trentotto enti diversi e pensi che ti saranno necessari trentotto anni per superare tutti i paletti, la voglia di saltarne qualcuno viene». «Visibili ambiguità nei meccanismi del sistema», di cui ha parlato ieri don Ciotti commentando l' operazione palermitana? «Basti pensare al codice degli appalti che è demenziale. Abbiamo un sistema di regole che è disegnato apposta per essere funzionale alla corruzione. Quando nel '93-'94 venne fatta la legge Merloni, il suo autore (l' ex ministro dei Lavori pubblici Francesco Merloni, ndr) voleva portare a venti le stazioni appaltanti. Uno per Regione. In Parlamento, per prima cosa fecero saltare quella norma. Oggi, di stazioni appaltanti ne abbiamo 35 mila!». La semplificazione normativa è proprio il principio ispiratore della lungamente attesa riforma del codice degli appalti, approvata dal Senato ma ancora in discussione alla Camera e a rischio di modifiche. Non sarebbe il caso di fare presto? I "paletti" sono un altro modo per definire quelle «La riforma dovevano farla già dieci o vent'anni fa. Il codice degli appalti ha cento articoli e lo hanno modificato seicento volte. Ogni volta, fanno una piccola correzione in modo che il sistema diventi sempre più odiato. Ora voglio proprio vedere con la riforma, in quanto tempo si farà e in che modo. Noi, purtroppo, continuiamo in Italia a sottolineare il potere delle lobby. Ma soprattutto bisogna amaramente constatare che non c' è alcun interesse a creare le condizioni perchè la corruzione finisca». Il nuovo codice degli appalti prevede più poteri per l'Autorità Anticorruzione, guidata da Raffaele Cantone. Un errore che una "toga" sia al vertice di questo o di altro organismo pubblico, come ha recentemente affermato il presidente dell'Anm Rodolfo Sabelli? «Ma al posto di Cantone chi ci mettevi? Capisco che in un altro Paese non sarebbe accaduto. Pure vero, però, che in un altro Paese non sarebbe necessaria una legge (la Severino, ndr) per stabilire che un deputato condannato a più di due anni di reclusione non possa più candidarsi. Quando ho raccontato questa cosa a un collega tedesco, mi ha guardato come se fossi matto perchè sembra ovvio che un condannato non si ricandidi». Restando a Cantone: farebbe bene a lasciare l'Anm, come lui stesso ha ipotizzato in queste ore? «Lui è maggiorenne e vaccinato. Sinceramente, però, trovo più comprensibile la posizione di Cantone che non quella dell' Associazione magistrati. In questi anni, d' altronde, io non ho mai sentito una parola di autocritica da parte loro. E sottolineo mai. Se l' Italia è combinata così, se i processi durano vent' anni, non è che la colpa sia solo dei cancellieri o delle regole fatte male!». Stesso protagonista, altre polemiche per le dichiarazioni su Milano «ritrovata capitale morale» d' Italia. Lo scandalo Expo è già roba superata? «Assolutamente no. Lo stesso Cantone, nell' ultimo libro («Il male italiano», ndr) che ha scritto con Gianluca Di Feo, muove critiche incisive al sistema milanese affermando in pratica come certa efficienza meneghina sia pure molto insofferente alle regole. Questa sua ultima dichiarazione, quindi, mi è sembrata contraddittoria con quanto scritto prima. Detto questo, però, Milano in questi ultimi mesi ha mostrato di sapersi rialzare dagli scandali. La stessa capacità di reazione non ha rivelato Roma, checché ne dica Ignazio Marino». A Palermo, intanto, un' indagine ha travolto la presidente della sezione Misure di Prevenzione, Silvana Saguto. E l' ex presidente di Confcommercio Roberto Helg, un tempo considerato uomo -simbolo della lotta alle illegalità, è stato appena condannato a 4 anni e 8 mesi per una mazzetta. Anche l' antimafia può essere un affare? «Non ho mai creduto che il mestiere di professionista dell' antimafia possa diffondersi così tanto... Magari qualcuno ha avuto la tentazione di fare il furbacchione, anche solo per darsi una patente di verginità. Abbiamo visto tanti casi di persone che stavano con le associazioni antiracket e, poi, sono stati beccati a fare altro. Tutto questo fa capire come il nostro sia un Paese complicato, in cui le cose si possono mischiare. E in cui si può scoprire che certe figure, apparentemente adamantine, hanno in realtà molti scheletri nell'armadio». DAL GIORNALE DI SICILIA IN EDICOLA. PER LEGGERE TUTTO ACQUISTA IL QUOTIDIANO O SCARICA LA VERSIONE DIGITALE