«Per commercio e servizi in Sicilia non c’è ancora ripresa. Nelle regioni del nord ci sono segnali di crescita. Il Sud, invece, non è ancora ripartito. Al massimo possiamo dire che si è interrotto il calo». Lo afferma Pietro Agen, presidente regionale di Confcommercio. Trentasei anni fa ha lasciato la Liguria per trasferirsi in Sicilia. «Sono convinto che il domani dell’Italia sia al Sud. Oggi tuttavia facciamo i conti con dati negativi. I consumi a livello nazionale sono inferiori a quelli del 2007 e in Sicilia le cose vanno ancora peggio», spiega Agen.
Si avvertono, comunque, piccoli segnali di ripresa?
«Ancora no. Almeno per la Sicilia. Nel resto d’Italia, e in particolare al nord, si registra una ripresa dei consumi. Il Sud invece ancora non è partito. Anche se c’è da dire che il dato del nord d’Italia è in parte contraddittorio perché riguarda principalmente il settore delle auto e di alcuni prodotti tecnici. Ma la vera ripresa, che è data da alimentari e abbigliamento, non c’è: in Sicilia fanno ancora rilevare un segno negativo. Siamo tornati in poche parole ai dati del 2005. Abbiamo perso 7 punti di prodotto interno lordo. E abbiamo dovuto fare i conti con un calo costante dei consumi che sono oggi inferiori a quelli del 2007. In Sicilia le cose vanno poi peggio. Da sette anni il pil non cresce, anzi decresce. Le condizioni per il rimbalzo ci sono per un fatto naturale: quando si arriva sul fondo una piccola risalita dovrebbe essere abbastanza facile».
Sul fronte commercio e servizi, come possiamo definire la Sicilia oggi?
«Utilizzerei una metafora: la Sicilia è come un corridore cui sono stati legati ai piedi dei pesi. Questi pesi sono svantaggi che frenano una possibile corsa, una possibile ripresa. Svantaggi di partenza, alcuni superabili nel breve tempo, altri meno. Il primo problema siciliano sono i trasporti. Oggi l’operatore siciliano parte a priori, sia esso un esportatore che un importatore, con uno svantaggio enorme. E il problema non sono i trasporti per raggiungere la Sicilia ma quelli per muoversi nell’Isola. Abbiamo un sistema interno che non so se definire novecentesco, o quasi ottocentesco. Abbiamo fatto uno studio secondo cui i tempi di movimento in Sicilia sono corrispondenti a quelli del tempo in cui ci si muoveva con le carrozze. Al di là di quanto accaduto con il cedimento del viadotto, per raggiungere Ragusa, Agrigento o Sciacca c’è da farsi il segno della croce. Faccio l’imprenditore e so che per portare la merce al nord devo sostenere un costo che i miei colleghi della Toscana non hanno. Stessa cosa vale per il turismo. L’aeroporto di Catania nel mese di luglio e agosto ha un meno 8 per cento. Cosa è successo? La verità è che una volta arrivati a Catania, che si fa? Penso, ad esempio, ad un tedesco che deve raggiungere Agrigento. Secondo me si perde. Non ci capisce più niente neanche il Tomtom (il navigatore gps per auto, ndr). E mi creda sono fresco di esperienza...».
Altri limiti?
«Un secondo limite storico per la Sicilia è la criminalità. Non abbiamo certi tipi di criminalità caratteristici del nord, ma sull’imprenditoria la cappa del racket e usura c’è ancora anche se, su questo fronte, c’è un miglioramento. Qui sono un po’ più ottimista. Rispetto al passato oggi il problema si affronta, se ne parla, la gente reagisce. Stiamo meglio di 35 anni fa. Il terzo limite è il credito: in una situazione di crisi, il credito è uno strumento di sviluppo come la detassazione, ce lo insegna l’Irlanda. In Sicilia ci troviamo ad avere un credito a costi maggiori del nord, perché viene considerato pericoloso, paghiamo mediamente il denaro due punti in più. E poi abbiamo un sistema di tassazione per cui al sud si pagano più imposte che al nord. Le imposte locali sono al massimo per la situazione di default dei nostri comuni. A questo aggiungiamo i costi dei trasporti... Per cui è facile comprendere perché non cresciamo».
Quali sono i punti di forza della Sicilia?
«Dai cibi ai reperti archeologici, dalla storia al patrimonio architettonico, la Sicilia ha delle potenzialità incredibili, enormi. Turisticamente può offrire cose che altri non possono. Dico sempre che se questa isola si fosse trovata nel sud della Francia, sarebbe il posto con più turisti al mondo. Purtroppo siamo nel sud dell’Italia con tutti i problemi che questo comporta. Abbiamo un patrimonio incredibile. Abbiamo un’offerta archeologica e paesaggistica notevole. C’è un vulcano che è una calamita. Siamo un mix portentoso. Abbiamo grandi imprenditori. Ma se il territorio non si rende compatibile con il turismo, quest’Isola non cresce. Bisogna fare un patto per la crescita dove gli investimenti si fanno mirati su aspetti critici. Pulizia del territorio, piano dei colori… cose che costano molto poco. Ci sono dei contributi regionali per il recupero dei centri storici, e di questo bisogna darne atto. Occorre però dare un indirizzo».
Oggi consiglierebbe ad un imprenditore di investire in Sicilia?
«Assolutamente sì. Oggi un imprenditore del nord che viene in Sicilia guadagna due volte. Prima di tutto perché va nel posto migliore. Secondo perché oggi i prezzi con cui si può investire nell’Isola sono contenutissimi rispetto al loro potenziale valore. Sono un imprenditore agricolo: oggi un ettaro si compra a cifre dove al nord non si compra un’ara. Io sogno sempre che vengano gli albergatori romagnoli. Abbiamo bisogno di un aiuto da chi ha un know how superiore al nostro. Il buon insegnamento diventa scuola e ci serve. Non concorrenti ma amici da cui imparare. C’è poi da sottolineare che il turismo è un moltiplicatore. Può costituire anche un export a chilometro zero: penso ad esempio ad una bottiglia di vino o olio venduta ad uno straniero. Prima però dobbiamo rendere questa terra meravigliosa anche ospitale. E non basta la buona volontà degli imprenditori, occorre un’azione decisa del “padrone di casa” che dovrà fare in modo di far trovare le strade pulite, i tappeti a posto...».
Caricamento commenti
Commenta la notizia