Sabato 28 Dicembre 2024

Azza Filali: «Ombre sul mare sfidano la morte, cercano in Europa una patria perduta»

Negli occhi la tragedia delle migrazioni, per ultimo le scene strazianti dei due corpi di bambini che il mare ha restituito e "vomitato" ieri sulle spiagge dell' isola greca di Kos, la scrittrice tunisina Azza Filali parla del «popolo senza patria». Che sfida la morte per scappare da miseria e guerre: «Per le popolazioni che abitano tra il Mediterraneo e il Sahara - spiega l' autrice sessantatreenne, che ha appena presentato nel nostro Paese il suo romanzo «Ouatann. Ombre sul mare» tradotto e pubblicato dalla casa editrice Fazi - ouatann significa madre patria. È il luogo dei nostri tratti identificativi. Nella condizione attuale, per i rifugiati siriani operi giovani tunisini e libici che viaggiano illegalmente verso l' Europa sperando di trovare migliori condizioni di vita, quella parola s' è caricata di rimorsi e nostalgia. Per molte persone, un paradiso perduto!». «Ombre sul mare». Il Mediterraneo s' è ormai irrimediabilmente trasformato in un mare di dolore e morte? «Gli attacchi terroristici e le difficoltà economiche in Tunisia, le guerre civili in Libia come altrove, fanno sì che questi Paesi non si preoccupino dei migranti, di quanti cercano di raggiungere l' Europa attraverso il mare. Questa situazione è veramente deleteria e obbliga i giovani a emigrare verso l' Italia». Per combattere i boss dei barconi servirebbe un' operazione militare in Libia: un pericolo per tutto il Nord Africa, almeno stando aquello che ha dichiarato la giornalista algerina Nacera Benali in un' intervista al Giornale di Sicilia. Timori fondati? «Sono d' accordo. Se ci fosse un' operazione militare in Libia, il Nord Africa diverrebbe come l' Iraq e la Siria. Preferirei piuttosto che i libici trovassero da soli una soluzione, malgrado questo possa costare tempo e mettere vite a rischio. Sarebbe certamente più facile e sicuro per le regioni di quell' area, piuttosto che un intervento internazionale». Proprio dalla Libia sono partiti i terroristi che hanno commesso la strage al museo del Bardo a Tunisi e quella sulla spiaggia di Hammamet. Primo obiettivo degli jihadisti, azzerare l' economia turistica: missione riuscita? «Sfortunatamente, questi crimini hanno avuto in parte il successo di ridurre la quota di turisti incrementando le difficoltà economiche in Tunisia. Ciononostante, sono stati 4 milioni i turisti nel corso di quest' anno mentre erano stati 5 milioni nel 2014. La situazione, insomma, è brutta ma non disastrosa». Sono tremila, o forse addirittura cinquemila, i giovani «foreign fighters» tunisini che combattono per l' Isis. Perché la sua nazione è diventata il più grande serbatoio al mondo di miliziani per il Califfato dell' Orrore? «Non sono capace di rispondere a questa domanda. Forse, se comparata con la Libia, la relativa pace in Tunisia permette a questi giovani di viaggiare più facilmente e andare in Siria, passando dalla Turchia. Comunque, tutto ciò ritengo sia in primo luogo dovuto al fatto che i movimenti islamisti sono relativamente vecchi in Tunisia. Sono cominciati nel 1990. Quindi, sono ampiamente impiantati nella popolazione. Specialmente, negli strati più poveri». Almeno cinquecento di quei tremila «combattenti» sono, intanto, tornati in patria. Cosa bisogna temere, adesso? «Non so esattamente quanti giovani siano tornati. Certo, questo è un grosso problema per il mio Paese e per tutta l' area perché è inimmaginabile che loro abbiano cambiato le loro convinzioni, i loro stili di vita. È essenzialmente un problema che concerne i servizi di sicurezza in Tunisia. Ad ogni modo, ho sentito che queste persone sono fortemente sotto controllo». Le Primavere arabe, la «Rivoluzione dei Gelsomini» in Tunisia, sono ormai un ricordo. Colpa dell' Occidente che, secondo alcuni studiosi, soffoca le democrazie islamiche? «Io non penso che la parte occidentale del mondo abbia un ruolo negativo. Secondo me, l' espressione "Primavere arabe" include differenti e numerosi movimenti ed evoluzioni. C' è una grande differenza tra Tunisia, Egitto o Libia. Difficile, dunque, mettere tutti nella stessa situazione». Nel suo libro, la presenza costante delle «ombre sul mare»: i tanti tunisini che hanno cercato e cercano futuro in Sicilia e in Italia. Più facile integrarsi nel nostro Paese che, ad esempio, nella Francia delle «banlieu»? «Dalla fine della colonizzazione francese, le tre generazioni successive di tunisini hanno profondamente cambiato le loro relazioni rispetto alla lingua francese e alla sua cultura. L' ampliamento dei movimenti islamisti nelle popolazioni più povere spinge ad un maggiore utilizzo della lingua araba, quindi pian piano i giovani tunisini dimenticano la lingua francese. Ciononostante continuano a studiarla a scuola, ma ha perso l' importanza primaria che aveva un tempo. Per l' Italia e in particolare per la Sicilia, invece, esiste un' attrazione particolare...». Cioè? «Una ragione per cui i migranti scelgono il vostro Paese è il fatto che nel passato gli italiani, soprattutto i siciliani, vennero in Tunisia e vissero qui per più di un secolo e mezzo. Hanno avuto forti collegamenti con gli arabi e la popolazione ebrea, vissero negli stessi immeuble, scambiarono cibi e ricette. Quindi, i giovani hanno molte volte ascoltato dalle nonne i ricordi di quel bel periodo in cui v' è stata in Tunisia una piacevole mescolanza di popolazioni».  

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