Lunedì 23 Dicembre 2024

Iacomini: «Ora proteggiamo quei bambini costretti a subire violenze e guerre»

Anche l' Unicef alza muri, ma non per respingere migranti. «Nel campo profughi di Umm Tal Jilal, i bambini giocano nel cortile di una scuola proprio lungo il confine tra Siria e Giordania - dice Andrea Iacomini, portavoce dell' organizzazione in Italia - Abbiamo costruito un muro per impedire che la palla finisca fuori: per recuperarla, infatti, molti sono saltati in aria su una mina o su una "bomba -barile"!». Difficile crescere in Siria, in Iraq, nello Stato Islamico... «Un bambino maschio, che non si converte all' Isis, subisce le cose peggiori. Anche per gli altri, la sorte è tragica. Non mi riferisco solo al reclutamento classico e all' indottrinamento nella sharia (la legge coranica, ndr) ma anche al fatto che, quando vanno al seguito delle milizie, devono assistere ai crimini più efferati. Ancor peggio va alle bambine». Bambine rapite, violentate, fatte schiave. Crimini di guerra, o retaggi culturali ancora diffusi in Medio Oriente e Africa? «Sì, non bisogna nascondere che siamo di fronte a retaggi culturali radicati. Ad esempio, in molti Paesi dell' Africa sub -sahariana è ancora molto diffusa la pratica delle minori ridotte a schiave sessuali. Nello Stato Islamico, però, colpisce di più che bambine e ragazze tra 10 e 17 anni, ma anche di 8 o 9, vengono prese e su di loro subito applicato un cartellino col prezzo. Molte ragazze yazide, che sono state liberate da noi dell' Unicef, hanno raccontato non solo di essere state vendute ma anche ripetutamente stuprate. Alcune hanno pure detto che è stato loro sottratto il cellulare e digitato il numero dei genitori, costretti così ad ascoltare le violenze sulle figlie». Dal certificato di nascita al passaporto, gli Uffici Anagrafe in «Siraq» pare che funzionino bene. Anche così, registrando i neonati come «cittadini dell' Isis», si afferma la nascita di un nuovo Stato? «Le evidenze, che ci giungono anche dagli operatori dell' Unicef in Siria e in Iraq, rivelano come nei territori controllati dall' Isis i bambini fanno ormai parte di un vero e proprio Stato. Il Califfato registra i propri abitanti e offre servizi. Questo fa il paio, però, con le condizioni cui sono appunto sottoposti i minori». Come Boko Haram in Nigeria o i Talebani in Afghanistan, il Califfato usai minori per azioni -kamikaze. Per gli jihadisti sono solo strumenti bellici, senza alcuna dignità umana? «Intanto, va fatta una precisazione: non bisogna parlare di bambini-kamikaze, perchè non sono minori che scientemente hanno scelto di andarsi a suicidare. Sono stati costretti a commettere queste azioni, a volte drogati e altre volte minacciati. Sono solo strumenti di guerra! Ciò avviene in Nigeria, dove fa particolarmente orrore che vengano mandate al massacro le ragazzine. Esistono evidenze che pure l' Isis abbia usato in questo modo bambini trai 10 e i 13 anni. Ovviamente, siamo di fronte alla violazione di qualunque norma internazionale a tutela dell' infanzia». Minori-soldato esibiti in esecuzioni di massa e avanzate sul fronte di guerra. Solo una trovata mediatica? «Quando parliamo di Isis, attenzione sempre alle trovate che puntano innanzitutto a colpire le nostre coscienze. Nello Stato Islamico, però, i bambini convertiti imbracciano molto presto i fucili e sono, poi, usati anche a scopo di propaganda. Parliamo, però, anche delle guerre dimenticate. Ad esempio, sono 12 mila in Sud Sudan e 10 mila in Centrafrica i minori reclutati persino a 5 anni. In molti casi, per disperazione e fame, sono le stesse famiglie ad affidare i figli alle milizie. L' Unicef tratta continuamente per ottenere la liberazione dei bambini -soldato, che sono 250 mila nel mondo. Ma questa è solo una stima per difetto!». Ogni regime punta parecchio sull' indottrinamento dei più giovani. Come e quanto lo Stato Islamico «fa scuola»? «I nostri operatori hanno raccolto testimonianze su scuole che sono state completamente "ribaltate". L' Isis entra, impone le proprie leggi, allontana o uccide gli insegnanti persino sotto gli occhi degli studenti. Anche tanti profughi, che io ho potuto incontrare nei campi in Libano, Iraq, Giordania e al confine con la Siria, mi hanno raccontato come molte scuole siano ormai vere e proprie madrasse dove i bambini sono istruiti alla jihad». Lo scorso anno, l'organizzazione «Human Rights Watch» ha denunciato che nella città -martire di Kobane centinaia di ragazzi curdi tra i 14 e i 16 anni sono stati rapiti, quindi sottoposti a torture fisiche e psicologiche. Così va la «guerra santa»? «Abbiamo notizie di genitori giustiziati dinanzi ai figli e di minori portati da una parte all'altra nel Califfato perchè assistano a fucilazioni e decapitazioni. Questo tipo di pratica è tipica dello Stato Islamico. Una cosa, però, tengo a dire, come tante altre volte mi è già capitato di fare: questa grande guerra in Siria e in Iraq colpisce, soprattutto, milioni di musulmani innocenti. Non possiamo fare passare l' idea che il musulmano è cattivo, che tutti sono come l' Isis. E, poi, fatemi anche sottolineare che adesso il mondo sta scoprendo cosa accade in quella terra ma ormai da anni noi dell' Unicef denunciamo quanto sta accadendo e lanciamo appelli alla comunità internazionale perché trovi una soluzione. Quattro milioni di rifugiati, 280 mila morti, un numero inestimabile di vittime bimbi: questa guerra ha superato in atrocità e numeri la Bosnia, adesso è il momento di agire». Molti minori in fuga dalla Siria e dall' Iraq sono ora profughi in Europa. Difficile far dimenticare loro quello che hanno vissuto e integrarli nelle nostre comunità? «Questa è una grande sfida. Noi abbiamo chiesto con forza che, oltre alla protezione, siano assicurati esperti capaci di aiutare i bambini rifugiati e percorsi scolastici. Sono minori fortemente traumatizzati e servono strutture di supporto. Come Unicef siamo disposti a mettere a disposizione la nostra grande rete di volontari che già è impegnata nella prima accoglienza e presente in tutte le regioni, in tutte le province, da Ventimiglia a Palermo. Stiamo anche discutendo con il Governo la possibilità di un forte ingresso della nostra organizzazione, laddove sia necessario il monitoraggio del rispetto dei diritti dell' infanzia sin dal momento dell' arrivo in Italia. Alla politica, però, chiediamo anche un altro passo...». Cosa? «Da troppo tempo, attendiamo che sia approvata la legge sulla cittadinanza per dare cittadinanza italiana a quanti sono nati qui da genitori extracomunitari. Se non riusciamo almeno a fare questo, come sarà possibile integrare domani i bambini che oggi stanno arrivando in Italia?».

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