ROMA. «Si stava spegnendo... Mormorava «papà, papà» e non aggiungeva nessuna parola. Non ne aveva la forza ma in realtà non ce n'era bisogno: «papà» significa che sta a te occuparti di tutto, risolvere i problemi qualunque essi siano, proteggere la tua bambina sacrificandoti se necessario. Io non l'ho fatto». È il racconto su alcuni quotidiani, del papà siriano della ragazza diabetica morta durante la traversata in mare verso l'Italia. «Sognavo la Germania per curare Raghad - dice Mohamed Hasoun Jalal -. Sono stato io a lasciare il suo corpo in mare».
«Questa colpa - aggiunge - mi rimarrà addosso per l'intera esistenza. Insieme alla scelta di partire verso la Sicilia. Avevamo preparato due grossi zaini: uno lo tenevo io e il secondo mia moglie Nailà, nel timore che avrebbero potuto dividerci. Gli zaini erano pieni di fiale di insulina, e di macchinari per misurare i valori del diabete e le giuste dosi di medicinale da somministrare».
«È morta - spiega quindi il padre della ragazza - perchè quei bastardi di trafficanti, quando ci hanno infilato nel barcone verso l'Italia hanno buttato in mare, senza motivo, lo zainetto con l'insulina». Quindi, il racconto dell'agonia: «Raghad ha cominciato a star male aveva problemi di respirazione e non riusciva a bere. Alle 6 di mattina, mentre le tenevo la mano, ha detto 'mamma’ ed è morta». «Non sapevo come seppellirla - ha quindi spiegato -. Ho chiamato un imam che mi ha consigliato di dire una preghiera e buttare il cadavere in mare. Così ho fatto, mettendo il corpo in un sacco». Mohamed Hasoun Jalal fa sapere che appena arrivato in Italia, «mi sono messo subito in contatto con la magistratura: quelle persone devono pagare per il male che hanno fatto».
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