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«Borsellino un uomo squadra, i magistrati di oggi ne seguano le tracce»

Il componente del Consiglio Superiore della Magistratura: «Nonostante le difficoltà, non perse mai la dedizione per il lavoro»

Ventitré anni ci dividono da quel maledetto 19 luglio. Viviamo in una Italia diversa. Economia, istituzioni, ruolo internazionale e la stessa società civile hanno un altro volto. Eppure i «segni» della vita di Paolo Borsellino non possono «cristallizzarsi» in un passato lontano. La sua «storia» esprime un messaggio educativo per gli uomini delle istituzioni di «oggi». E, d'altro canto, l'epilogo del percorso umano propone questioni attuali: dalle ragioni della violenza mafiosa alle sue «alleanze inconfessabili», dal suo peso nella società alla credibilità della risposta giudiziaria.

Tutti aspetti che chiamano in causa la qualità della nostra democrazia. Le «tracce» che ha lasciato Borsellino sono nei racconti di chi lo ha frequentato o ha lavorato al suo fianco. La sua biografia professionale andrebbe conosciuta a fondo da tutti. Soprattutto dai giovani magistrati di «oggi». Quelli che muovono i primi passi nei tribunali e nelle procure. A cui si chiede non solo di «saper fare» (conoscere i codici, condurre un interrogatorio, disporre una intercettazione o un arresto, scrivere una sentenza), ma anche di «saper essere».

Di capire, dentro e fuori dalle aule di giustizia, come porsi con deboli e potenti, colti e sprovveduti, vittime e carnefici. Di avere senso di responsabilità quando da un tuo atto dipendono la vita di una impresa, il destino di centinaia di lavoratori, le speranze di una famiglia, la credibilità di una istituzione.

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