MILANO. Sono stati condannati dal Tribunale di Milano a pene fino a 7 anni e 8 mesi di reclusione undici ex dirigenti Pirelli accusati di omicidio colposo in relazione a una ventina di casi di operai morti per forme tumorali provocate dall'esposizione all'amianto. Gli operai lavoravano negli stabilimenti milanesi tra gli anni Settanta e Ottanta. Il Tribunale di Milano ha condannato gli undici ex manager Pirelli e il responsabile civile Pirelli Tyre Spa al pagamento di una provvisionale complessiva da 520 mila mila euro per le parti civili e al risarcimento dei danni da quantificare in sede civile. In particolare è stata disposta una provvisionale da 200 mila euro per la moglie e la figlia di un operaio morto per forme tumorali provocate, secondo l'accusa, dall'esposizione all'amianto, 300 mila euro per l'Inail e 20 mila euro per Medicina Democratica e l'Associazione italiana esposti amianto. La maggior parte dei parenti delle vittime avevano già ricevuto un risarcimento fuori dibattimento e si erano ritirati dal processo. Dopo la lettura della sentenza emessa dal giudice della sesta sezione penale del Tribunale di Milano, Raffaele Martorelli, alcuni parenti delle vittime hanno esultato in aula. Membri di Medicina Democratica e dell'Associazione italiana esposti amianto, parti civili nel processo, hanno esposto striscioni. «Abbiamo dimostrato che uniti si vince - hanno spiegato - questa volta siamo riusciti a far condannare il padrone». Nelle scorse udienze il pm di Milano Maurizio Ascione aveva chiesto la condanna a pene fino a 8 anni di reclusione per 8 ex dirigenti e l'assoluzione per altri 3 ex manager Pirelli imputati (Gabriele Battaglioli, Roberto Picco e Carlo Pedone). I difensori, invece, avevano chiesto l'assoluzione di tutti gli ex dirigenti. Oggi sono stati quindi condannati Ludovico Grandi e Gianfranco Bellingeri, amministratori delegati della Pirelli negli anni '80, rispettivamente a 4 anni e 8 mesi e a 3 anni e 6 mesi di carcere. Condanne anche per Guido Veronesi (6 anni e 8 mesi), fratello dell'oncologo ed ex ministro Umberto Veronesi, Gabriele Battaglioli (3 anni), Piero Giorgio Sierra (6 anni e 8 mesi), Omar Liberati (3 anni e 6 mesi), Gavino Manca (5 anni e 6 mesi), Armando Moroni (3 anni), Roberto Picco (3 anni), Carlo Pedone (3 anni) e Luciano Isola (7 anni e 8 mesi, la pena più consistente). Tutti facevano parte del consiglio di amministrazione dell'azienda tra gli anni '70 e gli anni '80. Gli operai, che si sono poi ammalati di forme tumorali gravi o sono morti per mesotelioma pleurico, secondo l'accusa lavoravano dentro gli stabilimenti milanesi senza alcun sistema di protezione. Hanno subito dunque, secondo l'impianto accusatorio del pm Ascione, esposizioni «massicce e ripetute» all'amianto che negli anni successivi hanno causato le malattie e le morti. Per alcuni imputati il giudice della sesta sezione penale del Tribunale di Milano Raffaele Martorelli oggi ha disposto l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. Gli ex manager sono stati anche assolti da alcune imputazioni con la formule «per non aver commesso il fatto» o prosciolti con sentenza di non luogo a procedere per prescrizione del reato. «Siamo estremamente soddisfatti, finalmente il Tribunale di Milano ha riconosciuto che morire sul lavoro è un reato», ha spiegato l'avvocato Laura Mara, legale dell'Associazione italiana esposti amianto e di Medicina democratica, parti civili nel processo. «Questa sentenza è in linea con le recenti pronunce della Corte di Cassazione - ha sottolineato - e dimostra che l'impianto accusatorio ha retto». Nelle scorse settimane altri processi a Milano con al centro morti di operai provocate dall'esposizione all'amianto, che avevano coinvolto ex dirigenti della centrale Enel di Turbigo e della Franco Tosi di Legnano, si erano invece conclusi con l'assoluzione di tutti gli imputati