Spiega che i clan italiani sono sempre più radicati e fanno affari anche in Europa. E aggiunge che i mafiosi «made in Italy» hanno fiutato il vento e si sono adeguati alla globalizzazione: tanto da affidarsi ai nuovi professionisti specializzati nel riciclaggio di denaro sporco. Colletti bianchi che gestiscono, per conto di altri criminali, i proventi del crimine. David Ellero, 41 anni, maggiore dei carabinieri, dal 2007 è senior specialist a Europol, l’agenzia investigativa formata dai Paesi membri dell’Unione europea e da altre eccellenze tra le forze di polizia del mondo. È il responsabile degli investigatori che si occupano di contrasto alle organizzazioni transnazionali di tipo mafioso. Quali sono i clan che si muovono nei confini dell’Ue? Le mafie sono sempre più globalizzate? «Sicuramente la mafia italiana. Ma anche i clan dell’est europeo, organizzazioni russofone e albanesi. Nel nord Europa poi c’è il fenomeno delle bande di motociclisti. Poi criminali e narcotrafficanti presenti in Spagna e nei Paesi Bassi. Ad Europol rientrano tutti nella macro-area dedicata al contrasto della criminalità di matrice mafiosa, che quindi va intesa nel senso più ampio del termine: hanno spesso codici di comportamento strutturati che per certi versi richiamano quelli di Cosa nostra, ’ndrangheta o camorra, ma chiaramente hanno metodi di comportamento o obiettivi diversi». Pochi giorni fa Europol ha partecipato ad un blitz che in Spagna ha portato in cella criminali guidati dalla mafia georgiana, con collegamenti in Italia, Germania e Grecia. Come li avete scoperti? «Europol ha dato il suo supporto alla polizia spagnola che aveva avviato un’indagine in Germania e in altri paesi dell’Ue, come l’Italia, sui cosiddetti ”ladri nella legge”. Parliamo di un’organizzazione mafiosa tipicamente russofona con codici di affiliazione simili a quelli delle cosche italiane ma dedite prevalentemente ai crimini contro la proprietà. In queste indagini c’era una consorteria mafiosa georgiana che aveva connazionali in azione in Italia. Ma vorrei spiegare subito come funziona Europol. Faccio un esempio: possiamo estrarre i dati dai telefoni cellulari o dai pc sequestrati e confrontarli con quelli delle nostre banche dati». Che quadro avete delle mafie italiane in Europa? «Le organizzazioni criminali italiane tendono ad essere maggiormente presenti nei Paesi in cui le comunità di italiani sono più numerose. Abbiamo monitorato la presenza dei clan mafiosi italiane in Spagna, Francia, Germania e Paesi Bassi, ma anche in paesi terzi quali la Svizzera, l’Albania, gli Stati Uniti, il Canada, la Colombia e perfino l’Australia, dove la ‘ndrangheta è ben radicata da tempo. In altri paesi quali ad esempio la Gran Bretagna abbiamo anche avuto diversi segnali di infiltrazione mafiosa». Quali clan prevalgono? «’Ndrangheta e camorra sono molto presenti un po’ ovunque. Cosa nostra sembra invece avere un ruolo meno importante sotto il profilo transnazionale in questo momento storico». Che consapevolezza si ha della presenza delle mafie italiane nei diversi stati membri dell’Ue? «Ecco, questo è il nocciolo del problema. Noi italiani sappiamo che i clan sono presenti in diversi paesi dell’Ue, ma non riusciamo a conoscere il livello di penetrazione nel tessuto dei singoli stati. Questo perché il reato di mafia è per ora presente solo nel codice penale italiano. Così se riscontriamo in un paese dell’Ue che è stato commesso un ”reato spia” - come il traffico di droga o il riciclaggio di denaro - e chiediamo alle autorità nazionali se hanno notizie di presenze di clan mafiosi, la risposta è sempre molto vaga. Manca una legislazione specifica a livello europeo e anche la cultura investigativa della lotta ai fenomeni mafiosi». Di che tipo di attività criminali si occupano i clan italiani all’estero? «Si dedicano principalmente a due tipi di attività. Il narcotraffico nelle zone vicine ai porti, come Rotterdam o Anversa in Belgio e la Costa del Sol ed il litorale Andaluso in Spagna. E chiaramente il riciclaggio dei soldi frutto del traffico di droga». Sono clan che hanno legami con le ”case madri” italiane? Certamente. I clan italiani, specialmente quelli di origine Calabrese, sono spesso una replica esatta della loro struttura nel territorio d’origine. Non si sbaglia di certo se si afferma che questo dualismo è l’essenza stessa della forza di questi sodalizi criminali. La possibilità di avere un potere quasi “militare” in certe zone d’Italia ed allo stesso tempo passare inosservati in un altro paese d’Europa facilita enormemente gli affari illeciti, specialmente il riciclaggio. Ben consci del fatto che in altre zone del mondo non vi è la stessa legislazione che vi è in Italia, i sodalizi criminali prosperano giocando sull’idea che la loro esistenza all’estero da parte dei governi interessati è spesso messa in discussione». I soldi riciclati finiscono sempre in alberghi, ristoranti, bar? «Spesso, queste strutture servono intanto come base logistica per curare l’import della droga: si tengono lì le riunioni e si stringono gli accordi. Poi, queste attività apparentemente legali servono a riciclare i soldi. Che finiscono pure nel settore dell’edilizia e dell’import-export, che fornisce basi logistiche come bar e alberghi. Dove ci sono i camion lo scambio di droga e denaro è elevato». Come si esplicita, all’estero, il comportamento mafioso? Le intimidazioni hanno lo stesso «linguaggio» in Italia e in Europa? «Parte del problema, possiamo dire per fortuna, è che le mafie italiane hanno capito che più tengono un basso profilo all’estero, meno vengono percepite come un’emergenza e quindi non finiscono al centro di indagini. Noi in Italia abbiamo l’esatta percezione della pericolosità dei clan anche per via delle stragi: sappiamo “vedere” la mafia anche se si nasconde. In altri Paesi, finché non c’è allarme sociale per fatti di sangue, la mafia non la vedono». Avete condotto indagini sul riciclaggio di denaro? Dove? Contro quali clan italiani? «Europol sta dando supporto a diverse indagini in corso. Emerge che ormai ci sono gruppi che non si occupano di riciclaggio in modo incidentale ma come attività primaria. Si è passati dal clan che ha il proprio prestanome, che ricicla in modalità “fai da te” i proventi illeciti, ad organizzazioni che fanno solo questo tipo di attività. Si mettono a disposizione di altre organizzazioni criminali per il solo versante del riciclaggio. Secondo alcune stime il giro di affari a centinaia di milioni di euro l’anno in una singola indagine». Un filone nuovo? «Sì, è un trend recente che però è già stato individuato dagli analisti di Europol. Non siamo più solo in presenza di clan che curano direttamente il riciclaggio, ma a service providers, professionisti del ”money laundering”. Ma il problema è un altro: siamo davanti a organizzazioni transnazionali, che agiscono a cavallo di numerosi Paesi diversi e nello stesso momento». Le mafie italiane hanno stretto accordi con altre organizzazioni criminali? «Sì, e non è un dato nuovo. Ci sono alcuni paesi in cui gruppi criminali convivono pacificamente. In Spagna ci sono molti colombiani, che facilitano l’importazione di cocaina dal Sud America, e cooperano con gli italiani e con altri. A Milano, italiani e albanesi convivono da anni e fanno affari importando droga dai Balcani».