L’agenzia che dirige amministra diecimila beni immobili e alcune migliaia di imprese grandi e piccole. Quanto viene in euro? Difficile fare i conti ma certamente si tratta di centinaia e centinaia e, se pensiamo che ai Virga sono stati sequestrati beni per complessivi 1,6 miliardi di euro, fatte le dovute tare (la differenza tra valore del bene sequestrato e valore dello stesso bene confiscato), stiamo parlando di svariati miliardi i euro. Dice il prefetto Umberto Postiglione, direttore generale dell'Agenzia Beni Confiscati: «A fare tutto il lavoro che comporta questa gestione, siamo in 99 persone delle quali 25 si occupano della struttura interna. Per lavorare sui beni restano una settantina di persone in tutto. Un numero assolutamente inadeguato a uno standard di funzionamento dell'Agenzia».
Prefetto Postiglione, è possibile quantificare il “patrimonio” dell'Agenzia sommando il valore dei beni confiscati che gestite?
«La somma non restituisce un valore indicativo. Teniamo conto che la valutazione fatta in sede di sequestro è quasi sempre diversa da quella che facciamo noi in sede di confisca. Il sequestro tiene conto del valore di mercato del bene al di là delle sue reali condizioni e, nel caso di aziende, della sua situazione di bilancio. Facciamo un esempio che riguarda proprio Palermo. Quando l'Hotel San Paolo è passato dallo status di bene sequestrato a quello di bene confiscato era in grande perdita. L'agenzia ha operato con criteri gestionali che hanno rimesso il sesto il bilancio e ha promosso la sua attività al punto che adesso la struttura funziona a pieno ritmo al punto che non riesce a soddisfare tutte le richieste. Abbiamo registrato attività che ci stanno permettendo di realizzare anche lavori di ammodernamento della struttura. Quando lo restituiremo al mercato, il bene avrà un valore di molto superiore a quello che aveva quando la sua gestione è stata acquisita dall'Agenzia».
Niente numeri, dunque?
«Quello che posso dire è che da quando mi sono insediato io nel giugno del 2014, in un anno abbiamo consegnato, nel senso di averli restituiti alla società, oltre 3.100 beni. Sei volte in più rispetto ai massimi degli anni precedenti».
Cosa intende quando dice «restituiti alla società»?
«Vuol dire che i beni vengono consegnati a istituzioni: lo Stato, le Regioni, i Comuni. Poi sono queste istituzioni e deciderne la destinazione finale. Va aggiunto inoltre che noi ci occupiamo solo di beni immobili e di aziende. Noi interveniamo nella pienezza dei nostri compiti d'istituto nell'ultima fase della confisca. Ma in occasione dei sequestri e del primo grado delle procedure di confisca, collaboriamo con la magistratura. Quando la procedura è definita con provvedimenti definitivi, facciamo da soli secondo le norme che regolamentano l'attività dell'Agenzia. L'obiettivo primario è sempre quello di salvaguardare il bene facendo in modo che non perda valore. Quando invece vengono sequestrati depositi bancari e titoli, questi finiscono a Equitalia Giustizia che li mette nel FUG, il Fondo Unico Giustizia».
A fronte di questa mole di beni da gestire, in quanti siete?
«Siamo 99 persone 25 delle quali si dedicano alle attività di supporto dell'Agenzia. Gli altri seguono beni confiscati in cinque sedi. Gestiamo più di diecimila immobili. Qualche migliaio di aziende. Proprio per questo abbiamo potuto anche assistere a come sono cambiati gli interessi di Coisa nostra e il loro modo di investire. Ora aumentano le attività legate all'accoglienza (alberghi ristoranti agriturismi) che risulta preferita dai mafiosi. Prima il settore primario di investimenti mafiosi era edilizia e il mercato della calcestruzzi».
Lei si è più volte espresso a favore della necessita di modificare l'attuale normativa. In che direzione?
«Ogni volta che ne ho la possibilità non mi stanco di raccontare in cosa consiste il nostro lavoro e in che condizioni lo mandiamo avanti portando risultati. Ho suggerito una serie di integrazioni. Ne ho parlato al ministro dell'interno ma anche in pubblico, ai parlamentari, alla stampa. Ho bisogno di almeno 300 persone professionalmente idonee ad affrontare i problemi. Ci servono sedi almeno al Nord. Una sede serve a Torino e una a Bologna. Al Sud, una a Bari e una a Catania. Deve inoltre migliorare, quando non addirittura creare ex novo, l'integrazione con l'apparato pubblico. Ho promosso convenzioni con vari ministeri. Ci sono casi in cui la mancanza o il cattivo funzionamento di questa integrazione, rallentano le procedure di valutazione. Un esempio chiaro viene dai beni culturali. Spesso ci imbattiamo in oggetti che potrebbero essere opere d'arte ma anche no. Così serve chi sia in grado di valutare perché ne ha i titoli»
In una situazione di emergenza abitativa c'è chi indica negli immobili confiscati una opportunità per dare un tetto a chi, graduatorie e titoli alla mano, ne ha urgente bisogno. In questi casi il fattore tempo è fondamentale.
«L'Agenzia ha consegnato al Comune di Palermo circa 90 immobili per emergenza abitative. Ora c'è un decreto del ministero per le infrastrutture che prevede che i comuni capoluogo di regione e l'agenzia facciano sopralluoghi congiunti presso i vari siti di beni confiscati per individuare quelli da destinare ad alloggi popolari».
Uno dei personaggi che hanno subito questa confisca quasi senza precedenti era, in qualche modo, un campione dell'antiracket. Alla luce della sua esperienza, quanto è consistente nella strategia di contrasto a Cosa nostra il rischio di trovarsi di fronte a chi vuol giocare su due tavoli? Sino a che questa apparente cittadinanza attiva non è, invece, un ingegnoso sistema per eliminare concorrenti dal mercato?
«Quando ero prefetto ad Agrigento e commentavo certe situazioni apparentemente contraddittorie, mi rispondevano: Eccellenza, non dimentichi che qui siamo nella terra di Pirandello. E io aggiungevo: è vero ma di fronte a quello che succede oggi Pirandello sarebbe un dilettante. Detto ciò non conosco l'inchiesta che ha dato luogo al sequestro di cui parliamo. Ma una cosa è sicura: difficile che possa meravigliarmi di qualcosa».
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