Nato a Palermo, comandante provinciale dei carabinieri a Catania per tre anni. E poi comandante regionale per due anni. Il generale Giuseppe Governale, conosce bene la Sicilia ed i suoi mali. Adesso sta lasciando l' Isola per dirigere il Ros.
Generale, mafia, disoccupazione, corruzione. Qual è oggi l' emergenza della Sicilia?
«La mafia ha subito pesanti colpi, rispetto a quando, soprattutto negli anni Settanta e Ottanta aveva una forte componente militare. La corruzione rappresenta un pericolo non meno rilevante. Con un omicidio si uccide un uomo, con la corruzione l' intera società. Si crea sfiducia, scetticismo nei confronti delle istituzioni. E la mancanza di lavoro rende un grosso favore alle organizzazioni criminali, che in questo modo possono reclutare nuove leve con grande facilità. Sono tutti fenomeni collegati tra loro, ma direi che in questo momento il problema più grosso è essenzialmente la capacità per tutti i siciliani di diventare cittadini con la C maiuscola. Questa è la causa che determina ogni male. Le forze di polizia svolgono il loro ruolo, l' Arma è particolarmente inserita nel territorio regionale, basta pensare che in Sicilia ci sono 413 stazioni su 390 Comuni. Il problema è un altro: manca una partecipazione corale al bene comune, tutto il resto è una conse guenza».
Ritiene che negli anni sia cambiato l' atteggiamento dei siciliani nei confronti della mafia?
«Certo che è cambiato: in meglio, ma c' è ancora tanto da fare. Fino alla metà degli anni Settanta per molti la mafia non esisteva. Poi è diventata un oggetto per gli addetti ai lavori, c' era molta indifferenza. Pensiamo ad esempio quale atteggiamento ebbero molti componenti della società quando arrivò a Palermo il generale Dalla Chiesa. Poi ci fu il suo sacrificio e dopo molti altri omicidi eclatanti e il problema si pose in tutta la sua ampiezza. Adesso che Cosa nostra ha cambiato pelle e cerca di mimetizzarsi per concludere affari e fare soldi, c' è semmai il pericolo che si tenda a sottovalutare questo fenomeno. Noi teniamo alta la guardia, vorremmo che tutti facessero altrettanto».
Lei ha riscontrato un evoluzione in meglio o in peggio nella lotta a Cosa nostra?
«C' è stata un' evoluzione, sicuramente in meglio. Ma questo progresso non è stato gratis, l' abbiamo pagato a caro prezzo. Penso ai tanti carabinieri, magistrati, uomini delle istituzioni che sono morti in questi anni.... Certo, anche giornalisti. Penso a Mario Francese. Ed a Giancarlo Siani. L' ho conosciuto, quando da capitano comandavo la compagnia di Torre del Greco. Lo vedevo arrivare con quella macchina tutta scassata, come si chiamava...».
«Proprio quella. Era un ragazzino...».
Il momento più difficile e quello migliore di questi ultimi due anni in Sicilia...
«Abbiamo sempre svolto la nostra parte. Un dato: 8000 arresti in un anno. È il segno che l' azione dei carabinieri è stata rilevante. Però non mi sottraggo alla domanda: il momento più difficile è arrivato quando ho dovuto sostenere, incoraggiare i nostri reparti. Le motivazioni sono sempre fondamentali, i carabinieri affrontano duri sacrifici lontano dai riflettori. I momenti migliori? Cito due episodi... Due turisti piemontesi vanno a Vulcano a gennaio. Vogliono girare l' isola, non trovano nessuno. Eppure quel giro l' hanno fatto. Il comandante della stazione gli ha messo a disposizione la sua macchina privata. Gli ha detto: usatela pure, io tanto sono di pattuglia. E poi a Palermo c' è stato il caso di un anziano di 84 anni che per paura dei ladri, quando usciva portava sempre con sè un trolley con tutti i risparmi. Un giorno, dopo avere riscosso la pensione, lo hanno scippato ed i ladri gli hanno portato via tutto. Quando ha presentato la denuncia, i carabinieri gli hanno chiesto quanti soldi aveva lì dentro. Ci ha risposto, intorno ai 20 mila euro. La cifra precisa era invece 21.810 euro, i soldi che gli abbiamo riconsegnato. Questi episodi la dicono lunga sul grado di affidabilità e fiducia che la società civile riconosce ai carabinieri».
Dove si registrano nell' isola i segnali di cambiamento più incoraggianti?
«La Sicilia è una terra complessa e variegata. A Palermo ed a Catania c' è una microcriminalità molto rilevante, nelle altre, tipi diversi di fenomenologie delittuose. C' è tanto da fare in tutte le province».
La sconfitta di Cosa nostra passa per la cattura di Messina Denaro oppure la mafia sopravviverà anche senza di lui?
«Messina Denaro è un elemento molto importante nella nomenklatura di Cosa nostra, la sua cattura rappresenta uno degli obiettivi più importanti. Ma io voglio citare le parole di Giovanni Falcone. La mafia è un fenomeno naturale, e come tutti i fenomeni naturali ha un inizio e una fine».
Secondo lei il commerciante che paga il pizzo, o l' imprenditore la messa a posto, è più vittima o più complice?
«Nella vittima c' è anche una sorta di complicità. Direi che si tratta quasi di un Giano bifronte. Detto questo, va comunque sottolineato che nella lotta al racket abbiamo registrato notevoli progressi, non c' è dubbio che l' atteggiamento di molti commercianti e imprenditori è cambiato».
Secondo lei in un certo qual modo la mafia c' entra con i viadotti che diventano impraticabili prima di essere inaugurati e con il fatto che l' unica strada di collegamento tra est e ovest in Sicilia sia interrotta da mesi?
«Ci sono indagini incorso, preferisco non commentare».
E allora ritiene che Cosa nostra c' entri con l' arretratezza della Sicilia, con l' inadeguatezza dei servizi e in generale nei confronti della modernità?
«In Sicilia purtroppo ci sono ancora varie, troppe, tonalità di grigio, e invece si deve tornare al bianco o al nero. E nel grigio, nelle sfumature, che la mafia riesce a infiltrarsi nella società».
Lei andrà a dirigere il Ros. Che tipo di lavoro la aspetta?
«Un lavoro di continuità rispetto a quello che è stato fatto in passato. C' è il desiderio di essere all' altezza degli uomini che vado a comandare, molto motivati e con un forte spirito di appartenenza. Dunque dico lavoro, lavoro, lavoro».
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