PALERMO. Il ministro Delrio ha chiesto scusa per l’incuria di quarant’anni nella gestione delle infrastrutture. Ma che cosa ci dice per i prossimi quarant’anni? Certamente apprezzabile l’assunzione di responsabilità per il ritardo con cui stanno partendo i lavori di ripristino della Palermo-Catania. Ma i siciliani vorrebbero qualche informazione aggiuntiva sul futuro. Il ministro ci fa sapere che sono stati impiegati trenta giorni in più del previsto solo per quanto riguarda la relazione tecnica della protezione civile. Ha assicurato che il tempo sarà recuperato. Delrio è uomo d’onore e quindi bisogna credergli.
Le evidenze, però, sono altre. Sono passati due mesi e mezzo dal crollo del viadotto e ancora non si è visto un solo operaio al lavoro. Né sul viadotto né alla bretella che, in via provvisoria, avrebbe dovuto limitare i disagi.
Secondo quanto annunciato dallo stesso Delrio doveva essere pronta in tre mesi. È evidente che l’impegno non sarà rispettato. Non è nemmeno chiaro se e quando il raccordo sarà completato. Tantomeno c’è visibilità sui tempi di ripristino del tracciato autostradale. Si discute ancora sulla possibilità di utilizzare almeno una delle carreggiate. Se consentito, sarebbe già un gran passo avanti. Ma per il momento è tutto nella nebbia. Si avvicina l’estate e una delle grandi strutture stradali siciliane è interrotta. Il collegamento fra i due più importanti centri economici dell’isola è molto difficile. La deviazione comporta l’aumento di un’ora dei tempi di percorrenza. Senza considerare i problemi di sicurezza visto che una stradina di montagna (magica ai tempi in cui ospitava la Targa Florio) non è assolutamente in grado di smaltire il traffico di una grande autostrada.
Ma, fra le promesse di Delrio, una la vorremmo esplicitata in maniera chiara e ultimativa: vorremmo sapere quali iniziative intende intraprendere per impedire il ripetersi di incidenti come questo o come il crollo del nuovo pezzo della Palermo-Agrigento inaugurato a Natale e chiuso a San Silvestro. Il problema è tutto qui. Perché è sicuramente apprezzabile l’indagine che punterà ad accertare le responsabilità. La testa di Piero Ciucci, potentissimo capo dell’Anas, è già caduta. È possibile che altre lo seguano, anche se non sarà semplice accertare responsabilità specifiche su quarant’anni di cattiva gestione. La frana che ha piegato il cemento armato era nota da tempo.
Perché nessuno è intervenuto? Toccherà alla Procura della Repubblica accertarlo. Per l’opinione pubblica il quesito però è un altro: che cosa stanno facendo l’Anas e gli altri gestori delle infrastrutture siciliane in vista dei prossimi quarant’anni? Ammettere gli errori del passato è già un risultato. Ma non basta. Non può bastare. Non vorremmo, infatti, che la ramazzata (forse) in arrivo fosse anche una maniera per lavarsi la coscienza. Insieme ai nomi dei colpevoli del passato vorremmo anche sapere dal ministro Delrio, quali procedure sono in corso per evitare che una frana, magari in movimento solo da poche ore, non dispieghi fra qualche anno i suoi effetti distruttivi.
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