ROMA. Con tre diverse sentenze, le cui motivazioni sono state depositate oggi, la Suprema Corte ha respinto la richiesta di dissequestro dei materiali per le infusioni del metodo Stamina presso gli Spedali Civili di Brescia avanzata da Davide Vannoni, il 'guru' del metodo Stamina, e dai familiari di alcuni malati che si erano sottoposti alle infusioni. Ad avviso dei supremi giudici, lo stop a questa 'cura' su input delle indagini della Procura di Torino si basa su considerazioni «puntuali e coerenti».Al metodo Stamina «non può annettersi alcuna validità scientifica» e sono emersi «una serie di rischi» collegati alla «attività di estrazione e re-inoculazione delle cellule staminali poste in essere fuori dalle dovute precauzioni e al di fuori delle procedure richieste dalla legge». Lo scrive la Cassazione nelle motivazioni sul 'no' a questa 'cura'. «L'unico protocollo presentato da Stamina Foundation non è supportato da dati scientifici;è privo di riferimenti a procedure scientifiche validate o a pubblicazioni scientifiche e in esso le metodiche non sono dettagliate». «In tutta la documentazione prodotta da Vannoni la preparazione e la caratterizzazione delle proprietà delle cellule staminali» non è «definita nè documentata adeguatamente». In circa il 25% dei pazienti che si sono sottoposti al 'metodo' Stamina, e di cui è stato possibile consultare le cartelle cliniche e le schede di monitoraggio, si sono presentati «eventi avversi, nel 14% dei casi anche gravi». «D'altronde, è stato riscontrato che numerosi pazienti - prosegue l'alta Corte - hanno denunciato l'assenza di effetti benefici e, in taluni casi, il peggioramento delle condizioni di salute». Sono scriminati - in base all'art.51 del codice penale - i medici che «in adempimento del dovere di dare esecuzione alla pronuncia del giudice civile» hanno somministrato la 'cura' Stamina, aggiungendo infine che i camici bianchi 'costretti' a fornire questa 'terapie', adeguandosi ai provvedimenti della magistratura civile, non avranno conseguenze penali nel caso in cui le infusioni si rivelino «pregiudizievoli per la salute del paziente».