ROMA. Mafia Capitale atto secondo. Un secondo terremoto politico-giudiziario scuote la Capitale dopo quello dello scorso dicembre: 44 gli arresti eseguiti dai carabinieri del Ros tra Roma, Rieti, Frosinone, L'Aquila, Catania ed Enna. Manette bipartisan che scuotono ancora una volta Campidoglio e Regione e tracciano un quadro di un mondo politico romano al servizio del clan di Carminati piuttosto che della «cosa pubblica». Sullo sfondo di questo sviluppo dell'inchiesta «Mondo di Mezzo» il business agli immigrati. Nell'ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip Flavia Costantini su richiesta della procura distrettuale antimafia di Roma, vengono ipotizzati i reati di associazione di tipo mafioso, corruzione, turbativa d'asta, false fatturazioni, trasferimento fraudolento di valori ed altro.
Tra gli arrestati il consigliere regionale Luca Gramazio. È accusato di partecipazione all'associazione mafiosa capeggiata da Massimo Carminati, che avrebbe favorito sfruttando la sua carica politica: prima di capogruppo Pdl al Consiglio di Roma Capitale ed in seguito quale capogruppo Pdl (poi FI) presso il Consiglio Regionale. In manette anche l'ex presidente del Consiglio Comunale di Roma Mirko Coratti (Pd) e l'ex assessore alla Casa del Campidoglio Daniele Ozzimo (Pd). Ordinanze di custodia anche per i consiglieri comunali Giordano Tredicine (FI) e Massimo Caprari (Centro Democratico), per l'ex direttore del Dipartimento Politiche sociali di Roma Capitale Angelo Scozzafava, nonchè per Andrea Tassone, ex presidente del Municipio di Ostia, territorio considerato ad alta infiltrazione mafiosa. Ai domiciliari i manager della cooperativa «La Cascina» Domenico Cammissa, Salvatore Menolascina, Carmelo Parabita, mentre Francesco Ferrara è finito a Regina Coeli. La sede della cooperativa, vicina al mondo cattolico, (gestisce tra l'altro il Cara di Mineo, in Sicilia) è stata perquisita dai militari dell'Arma.
Nel'operazione finì agli arresti domiciliari anche l'imprenditore Daniele Pulcini, poi assolto nel settembre del 2018 per non aver commesso il fatto.
Tra le 21 perquisizioni anche una nell'abitazione dell'ex capo di gabinetto di Nicola Zingaretti, Maurizio Venafro, indagato per tentativo di turbativa d'asta relativamente all'appalto, poi sospeso, sul Cup della Regione Lazio. Venafro nel marzo scorso, dopo avere appreso di essere indagato, si è dimesso. Gli accertamenti - è detto nell'ordinanza di 450 pagine - oltre a confermare la «centralità, nelle complessive dinamiche dell'organizzazione mafiosa diretta da Massimo Carminati» evidenziano come Salvatore Buzzi sia «riferimento di una rete di cooperative sociali che si sono assicurate, nel tempo, mediante pratiche corruttive e rapporti collusivi, numerosi appalti e finanziamenti della Regione Lazio, del Comune di Roma e delle aziende municipalizzate».
Come lo spiega lo stesso in un'intercettazione: «La mucca deve mangiare» per essere «munta». Nelle carte ancora il nome di Luca Odevaine, già detenuto e considerato al centro di un «articolato meccanismo corruttivo» in qualità di appartenente al Tavolo di Coordinamento Nazionale sull'accoglienza per i richiedenti asilo: «Se me dai...me dai cento persone facciamo un euro a persona» spiegava ai manager della cooperativa La Cascina, interessati alla gestione dei Centri per gli immigrati. Quanto a Luca Gramazio l'accusa è di aver svolto un ruolo di collegamento tra l'organizzazione, la politica e le istituzioni, ponendo al servizio della stessa il suo 'munus publicum' e il suo ruolo politico. E nelle carte si ritrova ancora il nome di Gianni Alemanno. Per le elezioni al Parlamento europeo del maggio 2014, l'ex sindaco, secondo l'accusa, chiese appoggio a Salvatore Buzzi. Quest'ultimo si sarebbe mosso per ottenere il sostegno alla candidatura anche con gli uomini della cosca 'ndranghetista dei Mancuso di Limbadi.
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