PALERMO. Aggredita al cuore. E, con sempre maggiore efficacia, al portafogli e ai suoi moderni feudi imprenditoriali. Pronta, forse, a colpire di rimessa con la violenza di uno scorpione. Tuttavia un'organizzazione, «quella dei clan mafiosi siciliani, ormai in evidente e oggettivo affanno, a corto di ”personale” e ai minimi storici di potenza in un secolo e mezzo di storia unitaria». E, magari proprio per rimettere la testa fuori dal pantano, «pronta eventualmente ad atti clamorosi».
Costantino Visconti, ordinario di Diritto penale al Dems dell'Università di Palermo, commenta con prudenza, e però anche con la forza dei risultati del contrasto a Cosa nostra, l'allarme sorto dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia palermitano Massimiliano Mercurio circa l’intenzione di un clan nisseno di mettere nel mirino il pm della Dda di Caltanissetta, Gabriele Paci. Il Dems di Visconti ospita e organizza, insieme con l'Agenzia nazionale dei beni confiscati, l'Università Cattolica di Milano, il Centro studi «Stella» e la Fondazione Progetto Legalità, il convegno in programma a Palermo venerdì e sabato «Codice antimafia. Per una riforma utile, tra efficienza e garanzie». Altro mattone della «costituente» del nuovo sistema di aggressione e gestione dei beni di mafia, con il workshop conclusivo a porte chiuse che vedrà la partecipazione pure del Guardasigilli Andrea Orlando.
Professore, iniziamo dalle nuove minacce ai giudici. Di che mafia si tratta? E perché mostrerebbe i denti?
«Da studioso, è ovvio, non posso né conoscere a fondo né tantomeno entrare eccessivamente nel merito. Ma qui si tratta di condividere, tutti, una verità indiscutibile: mai la mafia siciliana era stata tanto in difficoltà in 150 anni; mai la sua ”pianta organica” era stata tanto esigua; mai i clan avevano subito una altrettanto massiccia e costante attività repressiva da parte dello Stato. Merita ammirazione, per esempio, e una riflessione sul livello di professionalità dei nostri investigatori, l'ultimo sequestro da 800 milioni di euro compiuto dalla Dia di Palermo contro le cosche di Villabate, con tutto il rispetto per le garanzie degli indagati e l'esito dell'inchiesta. Sul punto concordo con l'ex procuratore di Palermo Messineo: una mafia debole non significa una mafia inoffensiva. Potrebbe benissimo trattarsi del progetto di un clan in difficoltà che voglia riemergere rovesciando il tavolo».
E di Messineo condivide le preoccupazioni espresse su questo giornale circa il rischio di un «calo di tensione nell'opinione pubblica»?
«Preferisco vedere il bicchiere mezzo pieno e sottolineare che se i cittadini non si alzano al mattino pensando a quale strage debbano raccontare quel giorno i tg, significa principalmente che i nostri investigatori lavorano e il livello di sicurezza è oggettivamente cresciuto. E che la lotta a un'organizzazione indebolita quanto si vuole, ma ancora pericolosissima, continua. I cittadini hanno il diritto di affidarsi allo Stato mentre i suoi apparati repressivi agiscono senza pause. Valgano le parole di un magistrato di primissima grandezza come Armando Spataro. Il procuratore capo di Torino ha detto di non poterne più dei magistrati che denunciano continuamente isolamento, nemmeno fossero tante Giovanna d'Arco».
Venerdì e sabato siederanno insieme i magistrati di prevenzione responsabili dei nove tribunali italiani che hanno fatto registrare il maggior "fatturato" in termini di sequestri e confische. Consegnerete pure i diplomi ai partecipanti al IV corso per amministratori giudiziari.
«Siamo in una fase cruciale nell'elaborazione in commissione Giustizia della Camera di importanti modifiche al Codice antimafia, sul quale pendono vari nodi critici, primo fra tutti un nuovo statuto di professionalità e preparazione manageriale degli amministratori giudiziari per assicurare trasparenza e rotazione degli incarichi nella gestione dei beni. Ai lavori parteciperanno anche il viceministro dell'Interno Filippo Bubbico, il presidente della commissione Riforme del Csm Piergiorgio Morosini, il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, il presidente dell'Agenzia nazionale per i beni confiscati Umberto Postiglione, il rettore Roberto Lagalla. Gli obiettivi: tutelare i creditori in buona fede dell'impresa sequestrata, pagandoli rapidamente, e salvaguardare la continuità dell'azienda; professionalizzare la magistratura di prevenzione con l'istituzione di tribunali distrettuali specializzati. Ancora, riformare l'Agenzia lasciandole compiti di destinazione dei beni dopo la confisca definitiva, e non di gestione. Postiglione è stato chiaro: l'Agenzia non può reggere un'amministrazione diretta di tutte le aziende e i beni durante tutto l'arco del procedimento. E potenziare gli strumenti di sostegno alle imprese per sottrarle a quel condizionamento mafioso che non integri ancora una contiguità capace di giustificare il sequestro».
A che punto è l’iter parlamentare?
«La commissione ha chiuso agli emendamenti il 27 aprile, ora si va in Aula. In ballo c'è anche il controllo giudiziario, cioè tutoraggio e supervisione dell'autorità giudiziaria sull'impresa contaminata, senza spossessamento nella gestione. Una delle scommesse è aprire al controllo giudiziario pure a richiesta delle imprese e in presenza di interdittiva prefettizia. A un'azienda che la subisce, ma che non è ancora in mano alla mafia, va data una via d'uscita, non la mazzata finale».
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