Domenica 24 Novembre 2024

Magri: «L’esodo biblico durerà ancora se non finiranno i conflitti»

«Nel 2014 sono morte 3.500 persone nel Mediterraneo e nel 2015, solo da gennaio ad aprile, almeno 1.500. L’esodo, però, non si ferma perché le condizioni che determinano alla base la partenza dei migranti non solo permangono, ma sono addirittura peggiorate». Per Paolo Magri , direttore dell'Istituto Politiche Internazionali-Ispi, solo la disperazione può spiegare perchè centinaia di migliaia di nordafricani e mediorientali cerchino ancora di raggiungere l'Europa passando per il Mediterraneo. Ovvero per la «rotta più pericolosa» del pianeta, stando alla definizione dell'Atlante Geopolitico appena pubblicato da Ispi e Treccani. Il «Mare Nostrum» s'è già chiuso come un sarcofago su tanti, troppi, uomini, donne e bambini. Eppure, molti altri sono pronti a partire. Perchè? «I conflitti in Siria, in Libia, nel Corno d’Africa, nell’Africa del Sahel e in quella subsahariana, cui si aggiunge ora anche quello in Yemen, sono i principali fattori che spingono i migranti a fuggire verso l’Europa. Ciò dimostra che aver cessato la missione Mare Nostrum non ha costituito un deterrente per chi voleva partire, come sostenevano alcuni. Per evitare le stragi, e quindi fermare il flusso verso il Mediterraneo, occorre risolvere i conflitti africani e mediorientali alla radice». In Libia, il racket dei barconi dispone di molte basi operative e assoluta impunità. Ormai irreversibile il disfacimento per il "Paese del Caos"? «La Libia è già di fatto un paese diviso in due. Due governi, due parlamenti, due forze armate. E decine di milizie. Si può e si deve cercare ancora di evitare la frammentazione favorendo dialogo tra le due fazioni opposte ma è una strada difficile da percorrere come dimostrano gli scarsi risultati della mediazione Onu in corso da mesi». Avete ricordato come l'Expo 2015 sull'alimentazione si sia aperto mentre nel mondo oltre un miliardo di donne, uomini, bambini soffre di malnutrizione. I prezzi globali dei generi alimentari essenziali sono, intanto, cresciuti del 180 per cento negli ultimi vent'anni. «I dati sulla fame nel mondo, sulla scarsità e lo spreco delle risorse alimentari e sui prezzi dei beni di prima necessità devono farci riflettere su quanto sia importante la cultura del cibo, da alcuni definito il petrolio del futuro. Di fronte a tale emergenza, c’è sicuramente bisogno sia di un’azione politica globale, che di una maggiore consapevolezza delle persone. Chi strumentalizza la questione, lo fa spesso per un tornaconto politico, ma non offre reali alternative». Nelle nostre città, intanto, cresce l'allarme per i lupi solitari. Bisogna imparare a convivere con il fenomeno del "terrorismo diffuso"? «Quello dei lupi solitari è un fenomeno non prevedibile. Episodi simili sono accaduti in Canada, Australia, Belgio, Stati Uniti, Regno Unito, Francia. L’Italia è spesso minacciata da sedicenti jihadisti, ma per ora le autorità non riscontrano alcuna minaccia supportata da prove. Sicuramente, però, il livello d’allerta è alto e il rischio non può essere del tutto escluso». Internet è l'arma più potente usata dagli jihadisti. Potrebbe essere usata meglio anche da chi combatte i "tagliagole"? «Internet viene usato soprattutto nella fase del reclutamento e della radicalizzazione degli individui. Con le possibilità che la tecnologia offre oggi, i siti internet e gli account dei social media - maggiori vettori dei messaggi radicali - possono essere ricreati con la stessa facilità con cui sono chiusi. Se c’è un modo in cui anche la rete può essere utile all’attività di anti-terrorismo, è quella di monitorarla costantemente». L'Atlante Geopolitico segnala quattro anni di conflitto in Siria, il rischio di escalation regionale per la guerra civile in Yemen, lo sfaldamento dell'Iraq causato dalla convivenza di troppi gruppi etnici... L'elenco potrebbe continuare: l'Onu muore, soffocata dal moltiplicarsi delle aree di crisi? «L’Onu, concepita per riflettere gli equilibri emersi dalla II Guerra Mondiale, appare sempre più spesso incapace di risolvere le crisi attuali che vedono coinvolti o co-protagonisti paesi che settant’anni fa non esistevano o erano marginali. Servirebbe la riforma di cui si parla da almeno 20 anni ma che ha scarse possibilità di essere realizzata viste le resistenze dei cinque paesi con diritto di veto». Siamo al definitivo declino di quello che voi avete chiamato "ordine multilaterale occidentale"? «Siamo in una fase di mutamento degli equilibri. Non esiste più il mondo bipolare, ma allo stesso tempo è ancora difficile parlare anche di un nuovo ordine multipolare, in quanto vi sono interessi molto divergenti tra i vari attori regionali e internazionali, che non permettono la definizione di un “ordine”. Gli Stati Uniti e la Cina, le due potenze economiche mondiali, sono riluttanti a esercitare il loro potere in ambito politico; la Russia di Putin - debole economicamente - è, invece, tornata a giocare un ruolo di primo piano; l’Unione Europa continua a essere un attore incompleto. Sullo sfondo, vi sono poi Paesi come le monarchie del Golfo, l’Iran, l’India, il Brasile, la Turchia, che rivendicano un ruolo più importante. Fino a quando non si troverà un equilibrio fra questi paesi dovremo rassegnarci al “dis-ordine” internazionale di cui già oggi vediamo ampie anticipazioni».  

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