PALERMO. «L’indagine che ha portato al fermo di questi appartenenti ad una organizzazione criminale transanazionale parte da un presupposto: che le vittime di questi traffici sono disperati in fuga da situazioni di vita terribili. È gente libera di muoversi che però è costretta, per mettersi in salvo, ad affidarsi a trafficanti che speculano sui loro bisogni»: Renato Cortese, l’uomo che guidò gli uomini della polizia fino alla cattura del boss Bernardo Provenzano, è un funzionario che ne ha viste tante nella sua vita professionale. Oggi, dopo una parentesi professionale in Calabria e la guida della Squadra mobile di Roma, è il direttore dello Sco, il Servizio centrale operativo della polizia che ha coordinato l’inchiesta. Ripete più volte un concetto, Cortese. E lo sintetizza in una frase che può sembrare «ad effetto», ma che invece racchiude la grande umanità di chi - indagando - ha conosciuto storie e drammi di chi adesso è in salvo ma che ha rischiato la vita per approdare in Europa. «Oggi ci piace dare conto di una Polizia di Stato dalla due facce...» dice Cortese. A cosa si riferisce? «Alla realtà che fotografa le mani tese dei poliziotti che aiutano uomini e donne migranti che arrivano sulle nostre coste. È un’immagine positiva, per il senso di accoglienza e di solidarietà che offre ...». E l’altra faccia? «Quella dell’immagine della mano dura e ferma della legge contro i trafficanti di migranti che si approfittano del bisogno di gente che fugge dai paesi d’origine devastati da conflitti e persecuzioni. Trafficanti che per denaro sfruttano il bisogno della gente con un cinismo impressionante. Nel corso di questa indagine abbiamo realizzato intercettazioni di grande valenza probatoria, ma anche registrato dialoghi che dimostrano il vero volto di una organizzazione che ha una capacità criminale che si fonda sulla disperazione di chi ha bisogno di fuggire». L’indagine svela una «rete criminale» che prende in carico nei singoli stati africani i migranti, ne gestisce gli spostamenti verso la Libia e da lì, una volta arrivati in Italia, l’ultima agognata tappa: l’arrivo nel Nord europa... «La meta ultima di questi viaggi dei migranti spesso sono la Svezia, la Norvegia, la Germania, la Gran Bretagna. Alla situazione difficile e disperata di questa gente fa da contraltare la grande facilità di movimenti e di azioni criminali di chi fa parte di questa organizzazione. Hanno una grande facilità nell’aprire conti correnti e movimentare somme di denaro, sia quando queste somme vengono consegnate in contanti ad un anello intermedio della catena, ad esempio in Libia, sia quando invece la compensazione dei pagamenti avviene con il fenomeno fiduciario della “Hawala”». Che giro di denaro movimenta questo traffico di esseri umani? Si può fare una stima di quanto incassa l’organizzazione nella gestione di questo - per loro - remunerativo business? «Sono somme spaventose. Non è possibile quantificarle in modo preciso. Alcuni migranti pagano tra i 500 e i mille euro per essere condotti in Germania, altri tra i mille e 1.500 per raggiungere i paesi scandinavi. Se si pensa che ci sono state spedizioni su barconi stipati di 500 migranti a viaggio...». Che fine fa tutta questa massa di denaro? Avete potuto verificare se provoca solo un arricchimento dei componenti dell’organizzazione oppure i soldi servono a finanziare altre entità? «L’indagine che ha portato ai fermi di queste ore è in piena attività. Al momento siamo riusciti a identificare questi flussi di denaro che fanno capo in Italia all’eritreo Ghermay Asghedom, che svolgeva il ruolo di snodo tra arrivi e partenze: è stato arrestato a Civitavecchia, voleva fuggire in Germania. Poi ci sono i soldi che vengono incassati in Libia dai due soggetti latitanti, tuttora ricercati che sono i capi dell’organizzazione. L’inchiesta è in divenire. E come ha detto il procuratore Lo Voi, abbiamo certezza solo su quello che finora abbiamo trovato, non possiamo parlare di quello che eventualmente troveremo...». È vero che in alcuni casi i migranti, arrestati e rinchiusi in carceri libiche, per essere «scarcerati» erano comprati dall’organizzazione? «Risulta anche questo». I gestori dei centri di accoglienza in Sicilia hanno consapevolezza di quanto accade? Sanno che una volta arrivati sulla terraferma i migranti pagano ancora per andare via? «Non sono venuti alla luce aspetti investigativi di questo tipo. Dobbiamo ricordarci che parliamo di gente libera, non di detenuti. E che, soprattutto nei giorni delle emergenze arrivi, in questi posti c’è una tale quantità di persone da rendere difficile ogni tipo di controllo».