MILANO. «Un uomo sta sparando al secondo piano, chiudetevi dentro!». Correva con le braccia alzate per richiamare l'attenzione e gridava con la paura negli occhi una giovane avvocatessa che era riuscita a salire due piani di corsa e ad arrivare al quarto, quello della Procura. Solo una delle tante immagini del terrore che stamani Claudio Giardiello, immobiliarista a processo per bancarotta e poi killer per «vendetta», ha deciso di spargere nei sette piani del Palazzo di Giustizia di Milano, dove, armato di pistola e con una «freddezza inquietante», ha sparato tredici colpi, ammazzando tre persone, tra cui un giudice, e ferendone altre due, tra cui suo nipote. Prima di venire arrestato a Vimercate, ad una trentina di km da Milano, dopo una fuga durata quasi un'ora. Nessuno degli avvocati, dei magistrati, dei testimoni e dei cancellieri che stamani sono entrati nell'aula della seconda sezione penale al terzo piano avrebbero mai pensato, come le altre centinaia e centinaia di persone che ogni giorno frequentano il 'Palazzacciò milanese, che avrebbero visto «così tanto sangue e l'inferno», come ha raccontato uno di loro. Giardiello, 57 anni, originario di Benevento ma residente nell'hinterland milanese, separato e con una figlia, giacca e cravatta 'd'ordinanza' e all'apparenza tranquillo, è entrato puntuale verso le 9,30 nell'aula, come un «semplice» imputato per un crac, una delle sei persone coinvolte nel fallimento dell'Immobiliare Magenta, società che Giardiello ha amministrato fino al 2008. Poco prima, però, aveva già messo in atto parte del suo piano, lucido e determinato: Giardiello, infatti, era riuscito ad entrare da uno degli ingressi del Tribunale, pare quello di via Manara (sarebbe stato anche ripreso da una telecamera), mostrando, questa è l'ipotesi degli inquirenti, un tesserino falso, senza passare per il metal detector e riuscendo a portare dentro una pistola calibro 7.65 e due caricatori pieni. Gravi falle, dunque, nel sistema di sicurezza, un sistema che, a detta del ministro della Giustizia Andrea Orlando, «ha visto compiersi un insieme di errori gravi». L'immobiliarista si è seduto in uno degli ultimi banchi dell'aula e ha ascoltato la prima testimonianza. Sul banco c'era un teste della sua difesa, un commercialista, e lui ha iniziato ad innervosirsi, stando alle prime ricostruzioni, quando le domande del suo legale, Michele Rocchetti, hanno trovato spesso l'opposizione del pm, accolta dai giudici. Finita la testimonianza avrebbe avuto anche un 'battibeccò con il suo difensore, il quale gli avrebbe spiegato di essere intenzionato a revocare il mandato. Nel frattempo sul banco dei testimoni si stava sedendo Lorenzo Claris Appiani, giovane avvocato ed ex legale di Giardiello che veniva sentito come teste. Non ha fatto in tempo a giurare di dire la verità che l'imputato, trasformatosi in killer, ha tirato fuori la pistola che nascondeva addosso, forse in tasca, e l'ha freddato. Poi si è voltato di poco a destra per sparare addosso a due coimputati che sedevano in un banco più avanti. Giorgio Erba, 59 anni e titolare di un'altra società, è caduto a terra vicino alla gabbia dei detenuti. Portato al Policlinico in condizioni disperate è morto in ospedale. A terra, vicino a Erba, è caduto anche Davide Limongelli, 41 anni, nipote di Giardiello e con cui in passato aveva avuto litigi pesanti proprio per la gestione della società immobiliare. «Ho visto colpire delle persone. Ho visto morire un testimone davanti a me», ha detto il pm Luigi Orsi, che oggi si trovava in udienza in sostituzione del pm titolare dell'inchiesta Bruna Albertini. Mentre chi poteva tra gli avvocati e i giudici (a presiedere il collegio Teresa Ferrari Da Passano) si era rifugiato all'interno della camera di consiglio, Giardiello è uscito dall'aula. Fuori nei corridoi era il panico e il caos. Ha sceso una rampa di scale, ha incontrato sulla sua strada il commercialista Stefano Verna, incaricato di occuparsi del fallimento della Immobiliare Magenta, e gli ha sparato ad una gamba. Ha imboccato sempre con estrema decisione un corridoio al secondo piano, appena in fondo alle scale. Doveva far fuori un altro 'obiettivo', il giudice fallimentare Fernando Ciampi, che in passato si sarebbe occupato di uno dei 'rivolì del crac dell'immobiliare. Lo ha trovato seduto nel suo ufficio, mentre una collaboratrice era appena entrata per risolvere un problema tecnico al pc. Il magistrato avrebbe anche cercato di proteggere la donna, prima di morire ucciso da due colpi di pistola. La sparatoria è durata in tutto una ventina di minuti, dalle 10,45 alle 11,05. Poi Giardiello è riuscito anche ad uscire dal Tribunale, confondendosi probabilmente con le altre centinaia di persone che scappavano, cercando un riparo, chi nelle aule e chi all'esterno. Verrà arrestato circa un'ora dopo dai carabinieri, dopo una fuga in scooter, mentre a Palazzo erano da poco uscite le barelle con morti e feriti e gli agenti in borghese si muovevano ancora armi in pugno. «Volevo vendicarmi di chi mi ha rovinato», le prime parole di Giardiello che poi, dopo un malore, ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere. Se non fosse stato fermato, si sarebbe diretto a Carvico (Bergamo), secondo gli investigatori, per uccidere Massimo D'Anzuoni, suo socio di minoranza. Ora le indagini della Procura di Brescia dovranno accertare anche le responsabilità sul fronte sicurezza del Palazzo. «Di fronte a un gesto isolato le difese difficilmente possono essere assolute», ha spiegato il procuratore capo di Milano Bruti Liberati.