MILANO. Sono le ricerche nel computer di Bossetti riguardanti minori fino al maggio 2014 e la testimonianza di una donna che ha detto d'averlo visto l'estate prima dell'omicidio di Yara con una ragazzina fuori dalla palestra di Brembate, secondo quanto apprende l'ANSA, a motivare il pericolo di reiterazione del reato. E' questa la ragione per la quale il gip Ezia Maccora ha negato per la seconda volta la libertà a Bossetti in carcere dal 16 giugno. Rimangono i gravi indizi di colpevolezza per Massimo Bossetti e, alla luce di quanto depositato di recente dal pm, si è ampliata la gravità degli indizi nei suoi confronti. Nella sua richiesta, depositata ieri e sulla quale il gip di Bergamo Ezia Maccora deciderà entro questa settimana, l'avvocato Claudio Salvagni, oltre a sottolineare presunte incongruenze degli accertamenti sul Dna trovato sul corpo della vittima e attribuito a Bossetti, ritiene un fatto «nuovo e importante» il fatto che il pm Letizia Ruggeri non abbia chiesto l'immediato entro il termine di 180 giorni dall'arresto, nonostante la Procura sostenga di avere un quadro indiziario sufficiente. Secondo l'avvocato, l'accusa avrebbe l'obbligo di formulare la richiesta, salvo che questa pregiudichi gravemente le indagini. «Se il quadro è esaustivo - ragiona il legale - si deve chiedere il giudizio immediato e il fatto che non sia accaduto dimostra l'inconsistenza degli indizi in mano alla Procura». Nell'istanza è sottolineato anche come la recente relazione del consulente della Procura Carlo Previderè evidenzi che nessuna delle tracce pilifere trovate sul corpo di Yara presenti il Dna di Bossetti, ulteriore elemento che lo scagionerebbe.