PALERMO. Ci sono immagini dai colori sbiaditi che scorrono nelle loro menti, c’è da giurarci. E pure fotogrammi in bianco e nero di una Palermo vecchia, vecchissima e insanguinata. In cui un giovane Pietro Grasso, sostituto procuratore, si trova a essere il primo magistrato ad arrivare sul luogo del delitto di Piersanti Mattarella. Lì, in via Libertà, il 6 gennaio 1980, dove poco prima un altrettanto giovane Sergio Mattarella aveva soccorso il fratello crivellato di colpi. Scene di 35 anni fa. Sergio Mattarella non aveva fatto alcun riferimento all’omicidio del fratello, durante il discorso di insediamento. Ma è a quel giorno che, poco dopo, nel Salone dei Corazzieri, Grasso ha pensato. L’ex procuratore di Palermo, oggi presidente del Senato, ha guidato il Colle nella fase di transizione. Ieri ha guardato il neo presidente della Repubblica e al termine del passaggio di consegne ha rotto il protocollo: «Caro presidente, quando ci siamo conosciuti, trentacinque anni fa, eravamo persone diverse. io un giovane magistrato, lei un giovane professore di diritto. Mai avremmo potuto immaginare, in quel momento di dolore e di smarrimento, che gli imprevedibili percorsi della vita ci avrebbero condotto nella solennità del Salone dei Corazzieri del Quirinale per questa cerimonia. È quindi davvero con emozione e con sentimenti di affetto, amicizia e rispetto che le rivolgo, a nome mio e dei cittadini italiani, i migliori auguri». È commosso, Grasso. Scorrono le immagini di quel giorno. Il Giornale di Sicilia che la mattina dell’omicidio era uscito con una intervista a Piersanti Mattarella: «I nodi sono grossi e le mie armi spuntate — diceva in prima pagina il presidente della Regione —. Nella società si affermano comportamenti che favoriscono la mafia». Di lì a poche ore Grasso col cappotto color cammello, capelli arruffati, guarderà l’auto sfregiata dai colpi di fucile. Vedrà Sergio Mattarella col maglione sporco del sangue del fratello. E scorrono le immagini dei giorni futuri. Fotografano le carriere parallele. Quella del magistrato con la barba lunga nell’aula bunker del maxiprocesso e poi alla guida della Procura fino allo scranno più alto del Senato, accanto a quella del professore di diritto, che passa ai banchi del Parlamento e poi alla guida di vari ministeri, alla Consulta, fino al Quirinale. Percorsi resi uguali dall’obiettivo di lottare contro la mafia, di far prevalere la legge. Tutto questo scorre in pochi secondi. Prima che anche Mattarella prenda la parola: «È vero — dice rivolto a Grasso —. Ci siamo conosciuti in circostanze diverse e parecchio tempo addietro. E incontrarci qui, con le autorità dello Stato, in questo luogo ricco di storia che deve diventare sempre più la casa degli italiani, è per me motivo di ulteriore riconoscenza nei suoi confronti». Si erano già visti qualche giorno fa, Grasso e Sergio Mattarella, proprio in via Libertà, il 6 gennaio, per commemorare Piersanti, davanti a poche persone. Si erano stretti in un abbraccio vero. Ma ieri c’era un non detto nei volti dei due presidenti. Palermitani al Quirinale. Testimoni di un’epoca violenta e grigia, simboli del riscatto.