BOLOGNA. Un dolore al pene inizialmente trattato dal medico di base come un fungo, quando invece era un tumore. Poi, dopo la diagnosi di carcinoma e l'amputazione dell'organo, un ritardo da parte dei medici nel rilevare le metastasi che hanno portato alla morte del paziente, un 64enne deceduto a Campobasso a fine gennaio 2013.
E' il contenuto di una querela presentata dalla figlia della vittima, assistita dall'avvocato Chiara Rinaldi, del Foro di Bologna, alla Procura di Larino, comune in provincia del capoluogo molisano, dove è stato aperto un fascicolo di indagine sulla vicenda e affidato al Pm Luca Venturi.
I dolori cominciarono a fine 2011, quando il medico di base prescrisse farmaci, che non ebbero effetto, relativi ad una micosi. Successivamente l'uomo si rivolse ad un urologo che dapprima optò per una terapia antibiotica, ma i sintomi non regredivano. A febbraio 2012, ci fu il ricovero all'ospedale di Termoli, dove una biopsia evidenziò il carcinoma e lo specialista indicò l'operazione chirurgica di amputazione parziale del pene come l'unica percorribile per aggredire la neoplasia.
Il 3 marzo il paziente fu dimesso con l'unica prescrizione di sottoporsi a controlli dopo qualche mese e l'urologo prospettò una prognosi favorevole. Ma a maggio una tac evidenziò tumefazioni nella zona inguinale e a fine estate l'uomo stava di nuovo male. Il 22 ottobre fu nuovamente ricoverato a Termoli, fu fatta una nuova biopsia e i medici consigliarono di rivolgersi ad altro ospedale, visto che il tumore, molto voluminoso, si era radicato attorno all'arteria femorale.
I dolori erano fortissimi e fu sottoposto a San Giovanni Rotondo a chemioterapia, ma si trattava solo di trattamenti palliativi: l'uomo morì pochi mesi dopo. La denuncia, che allega una consulenza medico-legale del dottor Pietro Occhialini, fa riferimento, tra l'altro al ritardo con cui nel periodo febbraio-ottobre 2012 i sanitari dell' Urologia del 'S. Timoteo' di Termoli giunsero alla diagnosi di una diffusione metastatica.
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