MILANO. Grazie alla sua personalità e ai suoi trascorsi da musicista di successo l'ex fonico dei Modà Paolo Bovi «veniva visto come una persona 'al limite della divinizzazione'» nella comunità parrocchiale di Cassina dè Pecchi, nell'hinterland Milanese, tanto che «i genitori affidavano a lui i propri figli». L'uomo, tra i fondatori di una delle band più amate nel panorama pop-rock italiano, era però «ammalato di pedofilia», come ha ammesso lui stesso in una lettera indirizzata ai genitori prima di tentare il suicidio, nel marzo scorso. È il quadro che emerge dalle motivazioni della sentenza con cui lo scorso 10 ottobre il gup di Milano Franco Cantù Rajnoldi ha condannato Bovi a 5 anni e mezzo di reclusione per molestie sessuali su quattro ragazzi tra i 13 e i 16 anni avvenute nel 2011, quando l'uomo ricopriva il ruolo di educatore nell'oratorio del paese. Violenze che, secondo quanto è emerso dalle indagini coordinate dai pm milanesi Daniela Cento e Lucia Minutella, si sarebbero consumate nel suo studio di registrazione a Cassina dè Pecchi e in un campeggio a Bionaz, in Val d'Aosta, durante le gite con i ragazzi. «Purtroppo sono malato di pedofilia, l'ho capito quando per la prima volta alle superiori ho sentito quella parola», ha scritto Bovi nella lettera ai genitori riportata nelle motivazioni della sentenza. «Sono malato da tantissimo tempo - ha raccontato - Per quello che riesco a ricordare già dalle scuole medie». E la sua «iniziazione all'attività sessuale», secondo quanto raccontato agli inquirenti nel corso di un interrogatorio, sarebbe avvenuta «nella toilette di un cinema sotto la guida di un ragazzo più grande». Dai racconti delle sue presunte vittime, assistite dagli avvocati Ilaria Scaccabarozzi e Monica Borsa, secondo il gup emergono «i più che comprensibili sentimenti di impotenza, di sudditanza psicologica, di vergogna e smarrimento». Bovi avrebbe abusato «delle condizioni di inferiorità fisico-psichica delle persone offese (...) sulla base anche della notorietà quale ex membro di un gruppo musicale di successo e del suo ruolo di educatore» nell'oratorio. «Non era uno sconosciuto ma lo sentivo come un fratello grande del quale fidarmi ciecamente - ha riferito una delle vittime che all'epoca aveva 13 anni - mi sono sentito tradito, e poi ho compreso che era successa una cosa gravissima». Le violenze nei confronti del ragazzino sarebbero avvenute nel settembre 2011, nello studio di registrazione di Bovi. Secondo l'accusa il musicista avrebbe costretto il minorenne a «compiere e a subire atti sessuali», dopo averlo coinvolto in un 'gioco' che «prevedeva, quale penitenza, bere rum oppure togliersi un capo di abbigliamento». Il parroco di Cassina dè Pecchi secondo quanto emerge dalle motivazioni delle sentenza, ricevette le prime confidenze delle vittime, a suo dire, «nel settembre 2011», ma avvisò i genitori di un minorenne solo il 20 aprile del 2013 limitandosi a ordinare all'ex fonico dei Modà di allontanarsi dalla parrocchia. A denunciare gli abusi furono quindi i genitori dei ragazzi, dando il via alle indagini che portarono all'arresto di Bovi. «All'interno della comunità di Cassina dè Pecchi veniva visto come una persona 'al limite della divinizzazionè - ha raccontato agli inquirenti uno degli educatori -, una circostanza che portava i genitori ad affidare a lui i propri figli con completa fiducia».