PALERMO. Nel mirino delle cosche ora ci sono gli uffici postali del piccoli centri della Sicilia. Lo svelano due tra gli ultimi collaboratori di giustizia, Salvatore Lo Piparo e Benito Morsicato, affiliati alla famiglia mafiosa di Bagheria, legati al clan di Brancaccio e a Luca Bellomo, il «nipote del cuore» di Matteo Messina Denaro. I due ex affiliati alla cosca bagherese hanno raccontato ai pm della Dda di Palermo che hanno coordinato il blitz contro i fiancheggiatori di Messina Denaro - l’aggiunto Teresa Principato, i sostituti Maurizio Agnello e Carlo Marzella - alcuni particolari che evidenziano un sospetto: il latitante di Castelvetrano sarebbe a corto di quattrini, e la necessità di fare cassa e fargli arrivare contanti passa ora anche dalle rapine messe a segno dai suoi fiancheggiatori negli uffici postali di periferia, non ancora dotati di sistemi di sicurezza all’avanguardia.
Lo Piparo e Morsicato hanno verbalizzato come gli affiliati al clan di Bagheria non si curano di ottenere le «autorizzazioni» delle famiglie famose locali del Siracusano o del Ragusano, quando devono mettere in cantiere un colpo in un ufficio postale. Il motivo: essendo le Poste «uffici dello Stato», non si corre il rischio di rapinare un privato che, invece, potrebbe godere della protezione di esponenti locali di Cosa nostra. Prudenza diversa, invece, è stata usata quando nel mirino sono finite le Poste di Gibellina, Campobello di Mazara o Salaparuta. In quei casi, oltre ad avere chiesto il «via libera» dal clan locale, una parte del bottino è stata destinata ai mafiosi del posto.
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