ROMA. Un obiettivo non investigativo. Con uno scopo, quello di utilizzare le comunicazioni dei parlamentari per 'incrociarne' "i risultati e collegare le inferenze di traffico con informazioni bancarie e localizzazioni così da tracciare contatti, relazioni, movimentazioni". Il collegio di giudici della seconda sezione del tribunale di Roma ci va pesante nelle motivazioni alla sentenza di condanna ad un anno e tre mesi di reclusione inflitta a Luigi De Magistris ed al consulente tecnico Gioacchino Genchi per le presunte irregolarità legate all'acquisizione di tabulati telefonici di alcuni parlamentari nel periodo, 2006-2007, in cui il sindaco di Napoli, attualmente sospeso, era pm a Catanzaro e titolare dell'inchiesta denominata "Why Not". Sentenza che lo stesso De Magistris bolla come "ingiusta, intrisa di violazioni di legge a iniziare dalla competenza". Del resto già dall'alba di oggi il sindaco sospeso di Napoli aveva ribadito, in un tweet la sua linea, "sindaco di strada: non mollo, amo Napoli, non consentirò a politicanti e affaristi di mettere mani su città, lotterò per trionfo giustizia". Ma per i giudici che hanno condannato De Magistris c'è stata una "violazione comune e consapevole delle disposizioni di legge". Un'accusa, quella di abuso d'ufficio, subordinata all'acquisizione delle utenze, senza la necessaria autorizzazione delle Camere, dei parlamentari, Romano Prodi, Francesco Rutelli, Domenico Minniti, Antonio Gentile, Giancarlo Pittelli e Clemente Mastella. L'obiettivo degli imputati, scrive il collegio di giudici presieduto da Rosanna Ianniello nelle 90 pagine di motivazioni, non "era investigativo, ma disattendendo le norme, di conoscere il traffico dei parlamentari tramite l'acquisizione di tabulati. Attività illecita perché dolosamente inosservante della legge Boato". Secondo il tribunale di Roma "la prova della collusione tra il pm De Magistris ed il CT Genchi viene desunta non da sospetti o illazioni, ma da un contesto univoco". Per i giudici i due imputati hanno "perseguito pervicacemente l'obiettivo immediato e finale di realizzare la conoscibilità dei dati di traffico dei parlamentari non chiedendo l'autorizzazione alla camera di appartenenza pur di acquisire con urgenza i tabulati. La logica era quella di procedere senza rispettare le garanzie per cariche parlamentari, affatto sconosciute, e di giustificare 'ex post' le violazioni che fossero emerse per poi sanarle con una ratifica successiva rinviabile ad oltranza". Motivazioni, quelle del tribunale, non condivise dall'avvocato Massimo Ciardullo, difensore di De Magistris insieme con il collega Stefano Montone: "Non si comprende - ha dichiarato - come si possa sostenere che il mio assistito volesse arrecare danno ai parlamentari in questione, posto solo che acquisì involontariamente i loro numeri di telefono". Nell'annunciare che impugnerà la sentenza, Ciardullo afferma di essere fiducioso per il processo d'appello, convinto che "la sentenza sarà ribaltata in quanto il reato non sussiste né dal punto punto di vista soggettivo, né da quello oggettivo".