Mercoledì 01 Maggio 2024

Donna uccisa a Trapani, l'amante racconta: "Ho visto il delitto"

TRAPANI. "Si, ho assistito al delitto". Dopo 20 ore di interrogatorio Giovanna P. ,l'amante di Salvatore Savalli, è crollata ed ha ammesso di essere stata testimone del brutale omicidio di Maria Anastasi. Un racconto che inchioda il marito della vittima, fermato con l'accusa di avere ucciso la moglie. A puntare il dito contro di lui erano anche stati i suoi figli, che hanno descritto i particolari di un 'menage a trois' sfociato in tragedia. E' il ritratto di un uomo violento e privo
 di scrupoli quello che emerge dalla testimonianza dei familiari di Savalli, 39 anni.
Il cadavere della donna semi carbonizzato e con il cranio fracassato è stato trovato ieri nelle campagne di Trapani. Incinta al nono mese e madre di altri tre figli, proprio ieri avrebbe dovuto festeggiare il suo compleanno. E invece è stata massacrata a colpi di bastone, prima che il suo corpo venisse bruciato. E' stato proprio Savalli, operaio in una segheria di marmi, a denunciare mercoledì sera la scomparsa della moglie ai carabinieri. Un racconto lacunoso e pieno di contraddizioni. La sua amante ha adesso detto agli investigatori che mercoledì intorno alle 19 , lei, Maria Anastasi e Savalli sono usciti a bordo della "Punto". Prima hanno fatto un giro in città e poi, tutti e tre, si sono diretti nelle campagne di Trapani. Ad un certo punto, in località Zafarana (dove è stato trovato il cadavere), l'uomo, ha raccontato Giovanna P., avrebbe fermato l'utilitaria. Tra marito e moglie vi sarebbe stata una discussione per futili motivi e, comunque, non legati a problemi di gelosia. Ad un tratto Savalli avrebbe aperto il portabagagli
dell'automobile, preso una vanga e colpito, di spalle e al capo la moglie ché è stramazzata al suolo.
Poi dopo aver preso dal bagagliaio una tanica con la benzina, avrebbe cosparso il corpo e appiccato il fuoco. La testimone oculare ha sostenuto di essere rimasta pietrificata dal terrore. Dopo la macabra esecuzione, Savalli e Giovanna P. sono risaliti in auto, ma prima di far rientro a casa, hanno effettuato numerose tappe lungo il percorso. Tappe che sono servite per occultare il telefonino della vittima (l'uomo aveva lasciato a casa, spenti, il suo e quello dell'amante), la vanga, la tanica di benzina e ogni altro oggetto che avrebbe potuto attirare sospetti. Un alibi e una messinscena che però erano già stati messi in dubbio dai familiari del fermato. A raccontare un altro particolare che finirebbe con l'incastrare il presunto assassino è stato il figlio più piccolo, che ha 13 anni: "Papà è uscito di casa con una tanica di benzina. Gli ho chiesto a cosa servisse, mi ha risposto 'fatti gli affari tuoi'". E la sorella di 16 anni ha aggiunto: "Erano insieme, lui, la mamma e 'quella'...".
Ovvero Giovanna che da qualche tempo si era trasferita a casa dell'operaio: ai familiari aveva presentato la donna come una sua "amica". Una versione che non aveva convinto nessuno: "Era la sua amante - dice la figlia - e aveva ingannato anche mia madre, che era troppo buona. Si voleva prendere anche la mia cameretta, era diventata lei la padrona della casa e mia mamma era costretta a subire". La sorella maggiore, che ha 17 anni e vive con i nonni, ha detto che il padre si era perfino mostrato "infastidito" dalla gravidanza della moglie. Anche gli altri familiari accusano Savalle: "E' sempre stato un uomo violento - dice Rita Ricevuto, madre della vittima - ma mia figlia gli voleva bene e continuava a difenderlo. Subiva in silenzio". E una zia della donna, Anna Maria Ricevuto, rincara la dose: "Avevamo il mostro in casa e non ce ne siamo accorti".

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